ANNAMARIA SENNI
Cronaca

Verdoni, un omicidio senza una spiegazione

Oggi inizia il processo al 30enne che ha ucciso la madre Luciana Torri. Dichiarato incapace di intendere e volere ma socialmente pericoloso

di Annamaria Senni

Dopo dieci mesi dall’atroce delitto di Bora, inizierà questa mattina, davanti alla Corte d’Assise di Forlì, il processo a Federico Verdoni, il 30enne che la sera del 10 giugno 2020, uccise a coltellate la madre al termine di una banale lite. La procura (pm Filippo Santangelo) ha voluto dare un’accelerazione al processo ordinario, a seguito dell’incidente probatorio, chiedendo per il giovane il giudizio immediato. Istanza accolta dal gip Massimo De Paoli che ha fissato l’udienza per stamane. L’accusa formulata per il ragazzo, che si trova in regime di custodia cautelare, è di omicidio volontario aggravato.

Federico Verdoni avrebbe ucciso la madre, Luciana Torri di 69 anni, per futili motivi nell’appartamento di Bora, che i due condividevano da tanti anni. Fatali per la donna le sette coltellate inferte dal 30enne, rientrato a casa la sera del 10 giugno dopo un pomeriggio al bar con gli amici. Dopo quell’aggressione mortale il ragazzo scese in strada, nel piccolo paesello dove tutti lo conoscevano, senza alcun vestito addosso e iniziò a girovagare per le vie. Qui venne bloccato dai Carabinieri a cui scelse di non mentire: "Ho fatto qualcosa di grave", raccontò, mentre si trovava in stato di evidente shock.

Nell’interrogatorio di fronte al giudice, Verdoni confermò di aver ucciso la madre, senza riuscire a spiegarne il perché. Soffriva di disturbi psichici e seguiva un piano terapeutico, ma negli ultimi tempi, prima di commettere l’atroce reato, le sue condizioni di salute sembravano essere peggiorate, tanto che il giovane manifestava spesso deliri di onnipotenza. Uno snodo cruciale per quel delitto, tanto efferato quanto inspiegabile, è emerso in seguito all’incidente probatorio e una prima ‘prova evidente’ si desume dalla perizia psichiatrica sullo stato di salute mentale dell’accusato. Dal consulente del pm è stata confermata l’incapacità totale di intendere e di volere dell’imputato al momento dell’omicidio.

La perizia ha anche stabilito che Verdoni "ha la capacità di stare a processo" e che è ritenuto una persona socialmente pericolosa. Da dieci mesi si trova chiuso in stato di detenzione, prima in carcere a Forlì, poi in ospedale psichiatrico ed ora di nuovo in carcere. Il legale dell’imputato, l’avvocato Marco Moretto, ha sempre sostenuto che "questo è un processo che si giudica sulla capacità della persona". La capacità di intendere e di volere al momento in cui viene commesso un reato è imprescindibile per una eventuale condanna, e indica quell’attitudine della persona a comprendere il valore del proprio comportamento, le conseguenze giuridiche e morali che il fatto commesso ha verificato sulla realtà esterna. Nessuno può essere punito per un fatto, preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha commesso non era imputabile, ossia incapace di intendere e di volere. Se la Corte d’Assise dovesse giudicare Verdoni non imputabile e non punibile, potrà comunque optare per una misura di sicurezza nel caso lo ritenesse socialmente pericoloso.