NICHOLAS MASETTI
Cronaca

Rigopiano, il giorno della verità. I famigliari delle vittime: “I nostri angeli meritano giustizia”

Ventinove morti (sei marchigiani) nel resort della tragedia: undici sopravvissuti, fra i quali il piccolo Samuel. In tanti a Roma, ma c’è anche chi dice: “Dubito che qualcuno pagherà, ci sono troppi potenti di mezzo”

18 gennaio 2017, la tragedia di Rigopiano. Le vittime furono 29. Sei quelle marchigiane: da sinistra Paola Tomassini e Marco Vagnarelli, Emanuele Bonifazi, Marco Tanda, Domenico Di Michelangelo e Marina Serraiocco

18 gennaio 2017, la tragedia di Rigopiano. Le vittime furono 29. Sei quelle marchigiane: da sinistra Paola Tomassini e Marco Vagnarelli, Emanuele Bonifazi, Marco Tanda, Domenico Di Michelangelo e Marina Serraiocco

Roma, 3 dicembre 2024 – “Vogliamo che venga fatta giustizia”. Oggi in Cassazione, per i familiari delle 29 vittime della valanga di Rigopiano, potrebbe essere un giorno di speranza. Per un nuovo processo di appello, per far sì che vengano riviste alcune posizioni degli imputati e confermate delle pene, ma anche “per un segno di rispetto per chi non c’è più”. Dopo il 18 gennaio del 2017 davanti ai loro occhi è passato di tutto. Un incubo iniziato nel resort ai piedi del Gran Sasso, in provincia di Pescara, nel comune di Farindola. Quel giorno 29 delle 40 persone che si trovavano all’interno dell’hotel morirono. Alcuni erano lì in vacanza, altri ci lavoravano. Tra di loro c’erano anche sette marchigiani. Due residenti a Osimo (in provincia di Ancona), Domenico Di Michelangelo (41 anni) e Marina Serraiocco (36enne), entrambi di originari di Chieti, lui poliziotto e lei titolare di un negozio. Con loro il figlio Samuel, 7 anni, uno degli 11 sopravvissuti all’orrore. E poi Marco Vagnarelli (44 anni) e Paola Tomassini (46enne), coppia arrivata da Castignano (Ascoli), per trascorrere una vacanza nella neve in relax. Ma anche i maceratesi Emanuele Bonifazi, di Pioraco, addetto alla reception, e Marco Tanda, 25 anni.

Serie Sky su Rigopiano, il dolore si rinnova

Momenti difficili sì, ma anche evitabili, vista la “prevedibilità dell’evento”, segnali di allarme inascoltati e “una clamorosa erronea interpretazione e applicazione della norma”. Per questo ora viene chiesto, dal sostituto procuratore generale in Cassazione Giuseppe Riccardi, un processo bis in Appello per l’ex prefetto Francesco Provolo con nuove accuse visto che era già stato condannato a un anno e 8 mesi nel febbraio 2024 (assolto in primo grado). Ma anche di rivalutare alcune posizioni: quella dell’ex sindaco Ilario Lacchetta (per disastro colposo) e quelle di sei dirigenti della Regione Abruzzo, assolti in secondo grado insieme ad altri 16 imputati. Inoltre è stata sollecitata la conferma di sei condanne, tra cui quella dell’ex gestore dell’hotel.

“La sensazione, dopo giovedì scorso, è positiva, nel senso che per la prima volta in questi anni abbiamo capito che le nostre tesi sono confluite nella stessa direzione della procura generale di Cassazione. Credo nella giustizia. Attendiamo fiduciosi”, racconta Alessandro Di Michelangelo, fratello di Domenico. “Mi auguro che venga fatta giustizia, lo dobbiamo ai nostri cari che non ci sono più. Ci sono troppi lati oscuri in questa vicenda, ma dubito che alla fine qualcuno pagherà. Ci sono, in mezzo, tanti nomi grandi e noi, parenti delle vittime, siamo troppo piccoli”, è invece lo stato d’animo di Fulvio Vagnarelli, il fratello di Marco. “L’importante è che questa attesa serva per fare emergere tutta la verità e la giustizia che i nostri angeli meritano”, spiega Paola Ferretti, mamma di Bonifazi. “La decisione è delicatissima – ha detto l’avvocato di parte civile Alessandro Casoni che assiste Paola e il marito Egidio –. Con tanti imputati e 29 vittime, ci sono tante posizioni da valutare”. “Mi aspetto che tutto torni alla seconda fase del processo. Il primo e il secondo grado per noi sono state due mazzate”, conclude Gianluca Tanda, fratello del deceduto Marco e presidente del ‘Comitato vittime di Rigopiano’. Oggi sarà al fianco di altri familiari arrivati da Marche, Umbria e Abruzzo. Su alcune accuse incombe la prescrizione.