Il Dalla di Missiroli: "Lo sfiorai da bambino. Ma l’ho avuto davvero solo nell’età adulta"

Lo scrittore riminese fra i giurati della rassegna ’Ciao’ "Il suo è un mondo letterario: andrebbe fatto studiare a scuola. La canzone ’Anna e Marco’ ha anche ispirato un mio romanzo".

Il Dalla di Missiroli: "Lo sfiorai da bambino. Ma l’ho avuto davvero solo nell’età adulta"

Il Dalla di Missiroli: "Lo sfiorai da bambino. Ma l’ho avuto davvero solo nell’età adulta"

Missiroli, lei ce l’ha un suo Lucio Dalla personale?

"Con Dalla ho avuto uno sfioramento".

Ci racconti.

"Venne a Rimini a cantare, sarà stato il 1987, il ’90– spiega lo scrittore riminese, fra i giurati della rassegna ’Ciao’ –. Ero bambino, mi passò vicino e riuscii ad afferargli la caviglia. Si fermò e mi sorrise, poi proseguì. Non ho assistito al concerto perché i miei genitori mi portarono via e da allora Dalla mi è sempre sfuggito".

In che modo?

"Ho vissuto per cinque anni a Bologna, dove ho studiato all’università dal 2000 al 2005 e non l’ho mai incontrato in via d’Azeglio, mai e tutti mi dicevano che fosse facile. Neanche attraverso Stefano Bonaga o il libraio cui era legatissimo. Neanche nei ristoranti che frequentava. Non l’ho mai incontrato sotto casa, non ho mai visto un concerto".

Mai?

"Una cosa che mi ha scandalizzato di me stesso: non so perché. Io ascoltavo Dalla, mio padre aveva tutti i vinili. Ma mi è sempre sfuggito".

Perché secondo lei?

"C’è un motivo junghiano. Non si è abbastanza pronti per una forma di poesia compiuta e che bisogna godersi. Tutto questo l’ho capito quando ero pronto, dopo la sua morte. Già prima, ero ormai a Milano, ho cominciato a riavere Dalla attraverso le registrazioni di archivio, trasmissioni, video, attraverso le foto di Luigi Ghirri, e ho ricominciato ad ascoltare bene i testi e le melodie. Ultimamente ho capito che non ho mai afferrato del tutto quella caviglia di Dalla perché ci sarebbe stato un tempo in cui sarei riuscito ad afferrarlo in toto. E quel tempo è di adultità: né di infanzia, né di adolescenza o giovinezza. E ora per me Dalla è imprescindibile e ho scritto un romanzo nel 2011 con Anna e Marco, canzone che ha ispirato il Senso dell’elefante (Guanda)".

Quindi è questa la canzone più importante per lei?

"C’è un verso, grosse scarpe e poca carne, che racconta tutto Dalla, giocato sugli ossimori, e sulla delicatezza. Non c’è una canzone che non sia un racconto lungo o un romanzo: ascoltandole davvero capisci che c’è sotto una forma di anima talmente cantastorie, talmente attaccata alla vita stessa che Dalla era molto più di un cantautore. Era una forma di poeta alla Sandro Penna. Per cui quando dico Dalla dico un mondo e forse non l’ho ’masticato’ tanto nella sua individualità terrena perché è rimasto qualcosa di etereo. Dalla è una forma letteraria più che un cantante, bisognerebbe farlo studiare nelle scuole".

La sua figura è sempre di ispirazione anche per i giovani.

"Perché è un artista contemporaneo. É sempre stato molto più avanti di cantautori che hanno sfondato nel suo periodo e che non sono arrivati né alla classicità, né all’essere postmoderni. Dalla era tutto questo, con una struttura ’semplice’ e ancora ispira i giovani. Non c’è un punto della musica contemporanea che non abbia attinto da lui".

Per esempio?

"Calcutta viene da lì. C’è un ponte meraviglioso fra loro, Dalla è una porta che viene dal passato, ma che va verso il futuro. Futura è anche una forma di malinconia dell’avvenire. Sono contento di non averlo davvero incontrato perché rimane come un mito del mio tempo che non ho avuto, ma doppiamente avuto".

Un altro brano?

"Mi ricordo che quando fece Attenti al lupo ero alle elementari. Quella parte è forse la meno poetica ma dimostra quanto Lucio potesse entrare nei vari strati della gente. E brani come Piazza Grande arrivavano come da un altro pianeta e ti portavano dove eri nato: era un ricongiungimento con le radici. Dalla mi ha sempre fatto sentire meno solo".