
L’arcivescovo di Modena-Nonantola ha ricordato don Mingozzi e l’anniversario della liberazione del suo paese
Domenica scorsa monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, vicepresidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), è ritornato a Roncadello, nel paese in cui è nato e cresciuto, per un doppio momento: uno religioso, in parrocchia, in cui ha ricordato don Varo Mingozzi (per quasi mezzo secolo parroco di Roncadello, a dieci anni dalla scomparsa) e uno civile, presso il polisportivo ‘Delio Fulgori’, dove ha riflettuto su guerra e pace, a 80 anni dalla liberazione del paese, che sarà esattamente il 13 novembre.
"Mio padre Aurelio era nato nel 1918, partì militare nel 1939 e tornò solo nel 1945. So che è stato prigioniero in Jugoslavia, ma non ne parlava. Preferiva il silenzio su quella parte della sua vita. Mia madre invece da bambina viveva a Grisignano e ricorda quando Mussolini andava in vacanza a Rocca delle Caminate: tutti i bambini venivano radunati per il suo passaggio e dovevano fare il saluto romano. Ricorda però anche la Resistenza", ha raccontato il vescovo, moderato da Marco Bilancioni, caposervizio della redazione forlivese del Carlino.
Poi ha riflettuto sul passato e sul presente: "La pace, apparentemente, ci può essere anche sotto una dittatura che reprime il dissenso. In realtà la vera pace è quella che nasce dalla giustizia", ha detto ricordando le conseguenze degli accordi del 1919. Mentre oggi viviamo "una terza guerra mondiale a pezzi", ha detto citando Papa Francesco, situazione che "sì, mi preoccupa. Speriamo che prevalga il buon senso, il pericolo riguarda tutti perché la guerra ignora i confini". Ancora una riflessione: "Si può parlare di legittima difesa quando un popolo viene attaccato? Sì, ma in alcuni casi è complicato dirlo", ha ragionato con evidente rifermento all’attuale conflitto in Medioriente.
Vicino al cimitero di Roncadello, nel 1964, sessant’anni fa, a vent’anni dalla sua liberazione, fu eretto un monumento ’ai caduti di tutte le guerre’, come riporta la lapide (lì i roncadellesi si troveranno per un omaggio il 1° novembre): espressione troppo vaga? O al contrario giusta, sulla strada di una pacificazione? "Sì, la frase mi convince. Non c’è distinzione tra le vittime. Diverse invece le cause per le quali hanno perso la vita". Un percorso di comprensione importante: "Un popolo che non ha memoria del passato non può avere speranza nel futuro – ha affermato Castellucci citando Papa Giovanni II –, soprattutto in un periodo come questo in cui stiamo vivendo la guerra tra Ucraina e Russia e il conflitto in Medio Oriente". Papa Francesco non si stanca di ammonire sulle conseguenze della guerra perché "occorre guardare la realtà con gli occhi di un bambino. A me è capitato incontrando bambini ucraini nella mia diocesi, Modena".
Significa analizzare cioè il mondo e i suoi problemi con uno sguardo nuovo, cercando punti di vista diversi. "Accoglienza, integrazione e rispetto devono segnare la nostra vita quotidiana – ha proseguito don Erio –, perseguendo la pace e cancellando i risentimenti che sempre hanno portato lutti e sofferenze. Il cuore della pace è avere la pace nel cuore".
All’incontro hanno partecipato i rappresentanti del quartiere Graziano Mingozzi e Roberta Dradi, lo storico Mario Proli, che ha fatto un interessante viaggio nelle ragioni che hanno portato allo scoppio della seconda guerra mondiale, e la scrittrice Roberta Ravaioli che ha dedicato un libro agli eccidi di ottant’anni fa a San Tomè e Branzolino, raccontando le vicende drammatiche vissute dagli abitanti durante il conflitto.