I 130 anni del Carlino: «Tradizione e innovazione, è la lezione di Artusi»

Giordano Conti, presidente di Casa Artusi, sarà mercoledì tra i relatori del convegno che il nostro giornale e Confcommercio organizzano a Palazzo Romagnoli

Un buffet a Casa Artusi (foto Fantini)

Un buffet a Casa Artusi (foto Fantini)

Forlì, 13 dicembre 2015 - Giordano Conti, architetto 67enne e presidente dal 2009 di Casa Artusi a Forlimpopoli, lei sarà uno dei relatori al convegno su ‘Cultura, innovazione, territorio: il futuro del Forlivese’, organizzato da Carlino e Confcommercio mercoledì 16 dicembre.

L’enogastronomia fa parte integrante della nostra cultura, quale l’esperienza di Casa Artusi?

«Siamo un centro di cultura gastronomica. Si tratta di un progetto importante, inaugurato nel 2007 per volere del Comune di Forlimpopoli, Casa Artusi non solo vuole celebrare il concittadino più illustre, Pellegrino Artusi, ma ha restituito alla città il convento e la chiesa dei Servi: 3.000 metri quadri con biblioteca, scuola di cucina, centro studi e spazio articolato per eventi».

Come sta cambiando l’enogastronomia italiana?

«Seguendo lo spirito di Pellegrino Artusi: si evolve rimanendo nell’identità se stessa. Sono passati quasi 125 anni dalla prima pubblicazione del manuale ‘La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene’, ma rimane il best seller per antonomasia non solo in Italia, ma anche nel mondo, è stato tradotto in russo, polacco, portoghese, spagnolo e si sta preparando la versione francese».

Questa è la tradizione che resiste, ma come si sviluppa?

«Lo stesso Artusi lasciava libertà di innovare, così noi lo scorso anno, assieme a Don Pasta e alla Mondadori, abbiamo realizzato Artusi Remix con le ricette di oggi. Ma l’idea della cucina domestica di casa, come luogo di incontro, rimane un elemento fondante della gastronomia italiana. La cucina è legata alla famiglia, all’identità locale».

Riesce il nostro territorio ad attirare turisti grazie all’enogastronomia?

«Io parlo dall’osservatorio di Casa Artusi. Posso dire che dei 30.000 visitatori paganti l’anno, circa la metà sono stranieri: chef, formatori nel campo della gastronomia, giornalisti, tour operator. Dopotutto Italo Calvino diceva che per conoscere un territorio bisogna mangiarlo».

Cosa si potrebbe fare di più e meglio per conquistarli?

«Si può fare molto di più. Il problema è la sintesi e il dialogo fra le città. È un lavoro che solo le amministrazioni possono fare. Abbiamo fatto Romagna Acque e abbiamo dissetato la Romagna, perché non fare una rete romagnola delle attività culturali?».