
A soli 16 anni, Anna Sablich vive da sola e ha già vinto due scudetti giovanili con la Reyer Venezia.
In un’epoca in cui i ragazzi fanno fatica ad uscire di casa prima dei trent’anni, lei a nemmeno 16 vive da sola già da due anni. Due come gli scudetti giovanili che ha conquistato con la maglia della Reyer Venezia. E’ stato il basket il grande motore che ha spinto Anna Sablich fuori dal nido a 14 anni. "La prima cosa che devi chiederti in una situazione del genere è: questo è veramente quello che voglio fare? Se non lo è, allora è una strada troppo difficile da intraprendere, ma se invece è quello che vuoi, allora devi avere il coraggio per non avere rimpianti per l’intera vita". Cresciuta nei Bees giocando coi maschi ("la nonna era preoccupata, mi diceva stai attenta alle gomitate"), in famiglia ha avuto due modelli non da poco, Pietro e Giovanni, i suoi fratelli, allevati dalla Vuelle e nell’ultima stagione in B a Senigallia. "Se ho iniziato a giocare è per loro, ora dopo le partite ci scambiamo pareri e consigli. Mi hanno sempre detto che il mio ball-handling era migliore del loro e ci ho puntato".
Il suo idolo però è Matilde Villa: "La ammiro da sempre, pensare che oggi siamo nella stessa società è fantastico. Per due mesi mi sono allenata con la prima squadra e non solo l’ho marcata, visto giochiamo nello stesso ruolo, ma dopo mi ha anche accompagnato a casa. Mi pareva di sognare". Domenica a Battipaglia si è cucita sul petto il tricolore Under 17 dopo quello Under 15: "Il primo è stato emozionante, ma questo è stato più sentito: ho anche pianto alla fine perché mi sto rendendo conto veramente di che realtà faccio parte e che il salto è stato enorme. Prima delle finali io e Hassan siamo state convocate dalla dirigenza, ci hanno chiesto di prendere per mano le nuove compagne perciò sentivo tanta responsabilità, ma dopo i 22 punti segnati in semifinale mi sono sciolta". A bordocampo c’erano i suoi genitori: "Era da tanto che non li vedevo, ci manchiamo a vicenda, sentivo mio babbo fischiare dagli angoli della palestra, dove sta sempre quando viene a vedermi. La scelta di partire per seguire il mio sogno è stata condivisa". Eppure il nonno Ivo è stato un campione del calcio, gloria della Vis anni ’60: "Si aspettava almeno un nipote calciatore, invece sono usciti tre cestisti. Dice che ho l’abilità di smarcarmi e che sono brava a servire la compagna più libera: è un bella osservazione, me la tengo cara. Ma ho ancora tanto da imparare, mi sento nello stesso tempo ancora piccola ma già grande". La sua giornata tipo è strapiena: "Mi alzo presto per andare a scuola, per fortuna il Liceo è vicino a casa; a volte viene una signora a cucinarci qualcosa, altrimenti io e le mie due compagne di appartamento ci arrangiamo in qualche modo, anche con le lavatrici. Poi dalle due alle otto siamo in palestra e la sera studio. Un massacro? Un po’ sì, ma è quello che volevo fare".
I legami con Pesaro sono complicati da tenere ma resistono: "Ogni tanto mi scrivo ancora con Nicola Morelli e Filippo Morganelli, gli allenatori che mi hanno cresciuto nei Bees: se non avessi giocato coi maschi forse oggi non sarei qui, ho imparato a reggere i contatti. Quest’estate spero di avere un mesetto per stare a casa, così da rivedere tutti gli amici. E giocare al campetto". Poi forse arriverà di nuovo la chiamata azzurra: "La prima maglia a 12 anni è stata un’emozione, le altre ragazze avevano tre anni più di me mi pareva impossibile che mi avessero convocato". Anna gioca per Venezia, ma la laguna la vede solo nel week-end: "Viviamo a Mestre, quindi ci muoviamo in bici o in autobus. Poi la domenica andiamo a vedere la Reyer, sia maschile che femminile. La Vuelle? Fatico a seguirla, sono contenta sia tornato Tambone".
L’imprinting però è stato fondamentale: "Sono stata fortunata a nascere a Pesaro, tutti ci riconoscono che siamo una città di basket, anche se in ambito femminile non offre molto e son dovuta andar via. Il mio sogno? Una Vuelle femminile in serie A, allora sì che tornerei".