
Esattamente 20 anni fa la Cassazione annullava la condanna all’ematologo per le nove morti avvenute in reparto tra ’97 e ’98. Un mistero ancora irrisolto.
Sono trascorsi esattamente vent’anni da quel 25 maggio in cui il presidente della quarta sezione penale della Corte Suprema lesse il dispositivo che avrebbe fatto sbocciare un sorriso impercettibile – scrissero i giornali di allora – sul volto del professor Guido Lucarelli e del suo difensore, l’avvocato Lucio Monaco. Fu il momento esatto in cui l’allora primario vide chiudersi alle sue spalle la dolorosa vicenda delle nove morti in Ematologia, tra la fine del 1997 e il 1998. Anche se poi la chiusura definitiva – e ormai scontata dopo il pronunciamento della Cassazione – sarebbe arrivata quattro mesi dopo, in Corte d’Appello di Perugia, il 30 settembre 2005.
Annullando la sentenza di condanna - 1 anno e 4 mesi - inflitta all’ex primario di Ematologia dai giudici della Corte d’appello di Ancona, i magistrati della Corte Suprema avevano in qualche modo rigettato la tesi della ’malpratica infermieristica’ perseguita dalla Procura, avvalorando invece quella del possibile sabotaggio, accreditata dal giudice Vincenzo Andreucci nel momento in cui aveva assolto il professor Lucarelli in primo grado. Un epilogo che se certamente confortò l’ematologo, lascia netta ancora oggi, a distanza di due decenni, la sensazione di un non-risolto, rafforzata da un’attualità – vedi i casi Garlasco, Mollicone, Claps – che sembra minare e scuotere ogni verità giudiziaria.
Giudice Andreucci, nelle 90 pagine di motivazione della sentenza con la quale nel 2002 assolse l’ex primario Guido Lucarelli e il direttore sanitario Giovanni Fiorenzuolo, non mancarono accesi elementi di polemica con la procura.
"Non si trattò di polemica ma della valutazione critica dello svolgimento delle indagini e di evidenti carenze e difetto di coordinamento tra le due Procure interessate, la Procura presso la Pretura e la Procura presso il Tribunale".
Questo quale conseguenza ebbe sul procedimento?
"Le indagini nel procedimento penale per omicidio colposo plurimo, sfociate nella citazione a giudizio, furono svolte dalla Procura presso la Pretura in epoca anteriore all’entrata in vigore, il 2 giugno 1999, della riforma del giudice unico di I grado. Dunque l’ipotesi di omicidio doloso, introdotta da un esposto del prof. Lucarelli, fu trasmessa per competenza alla Procura presso il Tribunale e archiviata dopo sommarie indagini".
Lei ha sempre creduto all’ipotesi del dolo, del sabotaggio?
"No. Ho ritenuto che l’ipotesi di un intervento doloso fosse, in base agli elementi raccolti, tale da potere essere considerata ragionevole e, comunque, da non potere essere esclusa, al pari di altre condotte, colpose, anche di altre persone, ipotizzabili ma non individuate né provate. Tutto questo non poteva che portare alla logica assoluzione del primario Lucarelli e, conseguentemente, del direttore sanitario Fiorenzuolo".
Sostanzialmente, non fu mai individuato il ’veicolo’ del contagio.
"Sì. In estrema sintesi, alla base dell’assoluzione vi fu la mancata individuazione del “veicolo” o dei “veicoli” che avevano provocato il contagio del sangue dei pazienti da parte del virus dell’epatite B. Era pertanto impossibile ricondurre il contagio a condotte colpose del primario o di altri operatori sanitari, oppure a condotta dolosa la cui ipotesi, come ho detto, appariva ragionevole e comunque tale da non potere essere esclusa".
Carlo Lucarelli, figlio di Guido e noto giallista, in relazione al suicidio del portantino alla vigilia dell’interrogatorio, dice “sarebbe stato bello indagare sulla sua morte”. Anche lei l’ha pensato o lo pensa?
"Ho ritenuto, e ritengo tuttora, fondata l’ipotesi del suicidio".
Ha mai pensato, o pensa, che il caso vada riaperto per fare finalmente chiarezza su quanto avvenuto, anche nel rispetto che si deve a quei morti e alle loro famiglie?
"Non credo che ulteriori indagini fossero possibili all’epoca, tantomeno oggi, ventisei anni dopo l’evento".
L’ipotesi del sabotaggio, che la stessa Cassazione afferma essere una pista investigativa meritevole di approfondimento, ruota intorno alla teste Carletti. Che lei ha ascoltato al processo dando molto valore alla sua testimonianza. Ci può essere qualcuno, magari vicino alla Carletti, rimasto in silenzio che può sapere la verità?
"Sulla possibilità di ulteriori indagini non spetta a me pronunciarmi, salvo l’emergere spontaneo o in qualche modo provocato di testimoni che portino contributi nuovi. Diversamente, credo che il caso sia da considerare chiuso".
Che ricordo ha del professor Lucarelli? Vi siete mai sentiti, dopo quegli anni?
"Era una persona che protestava la propria innocenza di fronte ad eventi drammatici e ad accuse gravissime. Come in ogni altro processo ho fatto tutto il possibile per cercare la verità, compito di ogni giudice. Non ho mai avuto con il prof. Lucarelli un contatto personale, al di fuori delle udienze".
Fu un processo dove la città si divise tra innocentisti e colpevolisti. Che ricordo ne ha?
"Lo ricordo come un processo molto impegnativo. L’opinione pubblica rispecchiava il forte contrasto tra le posizioni delle parti processuali. Ciò mi confortò in un deciso impegno nella ricerca della verità mediante numerose iniziative di integrazione probatoria nel giudizio abbreviato, fortemente criticate negli appelli delle Procure ma riconosciute doverose dalla stessa Corte di Appello e Cassazione".