BENEDETTA IACOMUCCI
Cronaca

Sindaca, ingegnera, arbitra?: "Va bene anche al maschile. L’importante è il rispetto"

Sessismo linguistico? Viaggio tra le esponenti del mondo istituzionale e professionale "Non distogliamo lo sguardo dalla sostanza. Va riconosciuto il nostro valore".

Sindaca, ingegnera, arbitra?: "Va bene anche al maschile. L’importante è il rispetto"

Sindaca, ingegnera, arbitra?: "Va bene anche al maschile. L’importante è il rispetto"

Chiamatele sindaco, assessore, arbitro, ingegnere, direttore, prefetto. Alle donne, sempre più numerose, che rivestono incarichi i cui nomi vengono solitamente declinati nella forma al maschile, poco importano i discorsi sul sessismo linguistico. Le fa molto più arrabbiare sentirsi chiamare "signora" se sono medici in corsia; o se sono avvocate in un’aula di tribunale. Per non parlare di tanti altri siparietti che se un tempo facevano sorridere, oggi fanno quanto meno alzare il sopracciglio. "Capita ogni tanto che si presentino nel mio ufficio – racconta Simona Guidarelli, sindaco di Pergola, come preferisce definirsi – e vadano istintivamente dal vicesindaco accanto a me, dando per scontato che, tra i due, il primo cittadino non possa che essere lui".

E’ successo qualcosa del genere anche ad Elena Fabbri, "avvocata": "Ricordo che una volta mi capitò in udienza una testimone ostile che insisteva a chiamarmi ’signora’, per denigrarmi. Ovviamente l’ho corretta. Ho visto fare la stessa cosa anche nei confronti di un pubblico ministero donna. E’ una mancanza di rispetto grave: io francamente amo farmi chiamare avvocata. Non mi offendo se mi chiamano al maschile, d’altronde in tribunale la regola è quella. Ma la mancanza di rispetto non la tollero".

"Chiamatemi ingegnere tutta la vita – dice Laura Consolini, responsabile del settore lavori pubblici nel Comune di Mondolfo e segretario dell’Ordine degli Ingegneri –. D’altronde se non c’è il ’dentisto’, perché dovrebbe esserci l’ingegnera? Io penso che sia un modo per deviare l’attenzione sul tema vero che è il valore della professionalità. Faccio un esempio: una volta è venuto in Comune un signore, ha chiesto dell’ingegnere, l’hanno mandato da me. Ha detto ’non è possibile, qui deve esserci un uomo’. La moglie era super imbarazzata".

Ha invece conosciuto ben presto gli stereotipi di genere l’"assessore" Mila Della Dora. Non tanto in Comune, quanto sui campi da calcio, perché è stata una delle prime donne arbitro: "Nello sport la questione non si pone: c’è l’arbitro, c’è il giudice di gara, c’è il quarto uomo... Come fai a volgere queste forme al femminile? Per me era già un traguardo essere in un mondo dove le donne quasi non esistevano, pieno di pregiudizi e con la responsabilità di fare scelte anche impopolari. In Comune? Lascio la libertà di scegliere come chiamarmi. Prima nessuno si poneva il problema. Negli ultimi anni, rispetto alle persone che incontro, noto che è cambiato qualcosa".

E se gli inquilini delle Prefetture sono al 40% donne, anche la nostra Emanuela Saveria Greco non disdegna di essere la ’prefetta’. "Però nel decreto di nomina c’è scritto ’prefetto’ – dice – quindi io, che sono molto ligia, mi attengo a quella forma. Ma, onestamente, noi donne siamo concrete, andiamo alla sostanza. E la sostanza è interpretare bene il proprio ruolo, è questo che ci interessa". Concetto ribadito da Simona Guidarelli: "A volte esageriamo un po’ tutti, si rischia di lasciare da parte la sostanza per l’apparenza. Certe rivendicazioni sono giuste, ma il punto è il rispetto del ruolo istituzionale. E poi diciamocelo, il geometra non diventa geometro perché è un uomo..."

La risolve invece a modo suo, Nadia Storti, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Pesaro e Urbino: "Direttore o direttrice? Io mi faccio chiamare dottoressa. Perché prima di tutto mi sento un medico. Negli atti pubblici c’è scritto direttore generale, ma se mi chiamano direttrice va bene lo stesso. Non va bene, invece, quando una dottoressa o un’infermiera vengono chiamate signora o signorina. Questo purtroppo accade ancora, nonostante la componente femminile, soprattutto nel comparto, sia ormai maggioritaria. Non era così quando iniziai, 30 anni fa. Però le cose sono cambiate, ed è giusto che cambino, nonostante la salita sia sempre un po’ più irta per noi donne. Anche adesso".