FRANCESCO PIOPPI
Sport

Camurri, 40 anni in biancorosso: "Mitchell guariva... riposando"

L’avventura del dottor Camurri alla Pallacanestro Reggiana iniziò nella stagione 1983-84

Dottor Giovanni Battista Camurri, la stagione 1983-1984 è stata la prima al seguito della Pallacanestro Reggiana quindi sono 40 anni che lei è un punto di riferimento imprescindibile per i colori biancorossi. Com’è iniziata questa bella avventura?

"Con le Cantine Riunite che erano state promosse in A2 con coach Dado Lomabrdi e avevano i primi americani Bouie e Hackett. C’era già Beppe Bellelli, nostro storico massaggiatore, ma volevano uno staff più strutturato, con un ortopedico e si rivolsero a me. Il basket è sempre stato il mio sport preferito che ho anche praticato a livelli bassissimi, ma certamente con grande passione…".

Vogliamo sapere il ruolo, la società di appartenenza e le caratteristiche del Camurri giocatore…

"Per carità possiamo tranquillamente lasciar perdere (ride, ndr). Comunque sono cresciuto nell’Arbor del compianto Simonazzi, ero una sorta di play-guardia, ma con la mano quadra. Ricordo però una grande passione, condivisa con tanti amici: ci trovavamo in via Pasubio e poi si andava in trasferta in bicicletta. C’erano sfide molto accese col Daino Gavassa, spesso si giocava all’aperto, con tabelloni il legno… Era davvero un’altra epoca".

Poi la medicina dello sport ha iniziato un percorso che la vede, tutt’ora, come imprescindibile in campo professionistico.

"Quando ho iniziato le ecografie muscolo-scheletriche erano agli esordi, così come le risonanze. Poco dopo ci fu la prima chirurgia artroscopica del ginocchio che adesso invece è diventata altamente scientifica. Anche alla Pallacanestro Reggiana c’è un’equipe, gestita da Vincenzo Guiducci in qualità di coordinatore, che può avvalersi degli interventi del dottor Rodolfo Rocchi con nuovissime tecnologie. Insomma, posso dire di aver vissuto tutta l’evoluzione della mia professione applicata allo sport: un’esperienza stupenda e che mi ha dato modo di accrescere anche le mie competenze".

E che le ha dato modo di conoscere tanti grandi campioni. "Con molti di loro è nata anche un’amicizia. Montecchi era poco più di un bambino e oggi mi chiama ancora se ha qualche dubbio sul suo fisico. Ricordo poi Gianluca Basile che è arrivato a 15 anni e se n’è andato che era un uomo, poi ha giocato le Olimpiadi e vinto l’Eurolega. L’etica per il lavoro è la cifra che li contraddistingue: Kaukenas andava a casa per ultimo e non prima di aver fatto almeno 50 canestri in uscita dai blocchi. Ma anche Londero e Brumatti si sfidavano in interminabili gare di tiro…".

Anche con Mike Mitchell ebbe un rapporto solidissimo e di grande complicità.

"Alla fine di ogni partita mi diceva: le ginocchia mi fanno malissimo ’Doc’. E allora gli chiedevo se volesse fare delle radiografie, ma lui mi rispondeva sempre di no. Non voleva che l’allenatore o i compagni sapessero dei suoi problemi e avessero paura a farlo giocare. Mi diceva: dammi solo qualche giorno di riposo poi domenica vado in campo, faccio venti punti e vinciamo. E spesso succedeva proprio così. Saltava l’allenamento del martedì per qualche acciacco di cui sapevamo solo io e lui, si gestiva negli altri giorni e poi quando giocava erano dolori, ma per gli altri".

È vero che Joe Bryant era preoccupato perché Kobe sembrava un po’ gracilino?

"Confermo, aveva 11-12 ed era ancora magrolino, ma non c’era nulla di cui preoccuparsi e io lo tranquillizzavo dicendogli che il piccolo Kobe sarebbe diventato un grande atleta…".

Chi è stato, dal punto di vista fisico-atletico, il giocatore più dotato che abbia vestito la canotta biancorossa? Uno che se non avesse sfondato nel basket avrebbe fatto benissimo anche nell’atletica o in qualche altro sport…

"Dale Solomon aveva un fisico impressionante, ma anche Piero Montecchi era naturalmente portato per tutti gli sport. Era forte anche a tennis e calcio, direi che se avesse intrapreso anche un’altra disciplina sarebbe arrivato a fare il professionista".

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