Geodis Amazon a rischio chiusura: sciopero ad oltranza per 130 lavoratori

L’azienda logistica di Arquà Polesine lavora ha come unico committente il colosso della logistica. L’allarme dei sindacati per una possibile cessazione dell’attività da luglio

Lo sciopero dei lavoratori di Geodis Amazon a Rovigo

Lo sciopero dei lavoratori di Geodis Amazon a Rovigo

Rovigo 14 marzo 2023 – Grande preoccupazione e rabbia per le lavoratrici e i lavoratori della Geodis, specializzata nella logistica che ha come mono committente Amazon, che da lunedì 13 marzo sono in sciopero contro il rischio di chiusura del sito, che si potrebbe verificare a partire dal prossimo luglio. Nella sede Geodis, posta nell’area artigianale tra Arquà Polesine e Villamarzana, sono in pericolo 130 posti di lavoro, per questo motivo l’astensione dal lavoro proseguirà anche nei prossimi giorni. Nella mattinata odierna dalle 11, davanti alla sede dell’azienda via Maestri Del Lavoro, 990 ad Arquà Polesine, si terrà una conferenza stampa con le lavoratrici, i lavoratori e i rappresentanti sindacali di categoria Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, che denunciano: “Quanto sta succedendo alla Geodis potrebbe essere solo un anticipo delle conseguenze che stanno producendo le scelte aziendali di Amazon”.

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La storia di Geodis

Geodis è attivo come operatore logistico nel sito rodigino da circa 15 anni, e a Vescovana e Padova con importanti cantieri, ove vengono movimentate merci per vari clienti, tra cui a Padova quello più importante è Peroni, produttore della nota birra. Sette anni orsono, Geodis ha stipulato con Amazon un contratto di appalto in esclusiva per il cantiere di Arquà Polesine / Villamarzana, affidato in subappalto a una società cooperativa, la quale reclutava personale attraverso un’agenzia interinale. L’affidamento ad Amazon del cantiere in oggetto ha comportato, per Geodis, il trasferimento dei clienti allora presenti, e del relativo personale in pianta stabile, dal sito oggi a rischio di chiusura verso altri cantieri. L’ingresso di Amazon nell’impianto è avvenuto nel giugno del 2016, con contestuale assunzione di nuova forza lavoro totalmente precarizzata. I segretari delle organizzazioni sindacali Filt Cgil Fit Cisl, Uiltrasporti, in maniera unitaria hanno precisato come “si è registrata, da subito, la presenza di oltre 200 lavoratori somministrati in capo alla società in subappalto, in particolare donne, costretti spesso a part - time involontario”.

Giornate nere con i black friday

“Nei momenti di maggior picco, ovvero durante i black Friday e altri momenti di aumento di commesse, i lavoratori precari sono arrivati a raggiungere le 350 unità, mediante un modello usa e getta tanto caro al sistema e-commerce, ormai in voga a livello globale – proseguono i sindacati -. Questo modello necessita di un utilizzo ultra flessibile del personale, che si è tradotto in nastri lavorativi inverosimili, con almeno 4 ore di straordinari al giorno, pause sconosciute, lavorazioni gravose anche in termini fisici, che nel tempo hanno determinato l’emergere di lesioni fisiche confermate da acclarate malattie professionali. I part-time forzati e il contratto di somministrazione hanno rappresentato veri e propri scogli per il sindacato e, allo stesso tempo, le leve di ricatto per i lavoratori. Coloro i quali, uomini o donne che fossero, erano stati assunti come full-time somministrati, per vedere una conferma a tempo indeterminato, hanno dovuto accettare contratti part-time anche di 21 ore settimanali che, come è facilmente comprensibile, non sono sufficienti al mantenimento minimo dello stato di bisogno della persona e della propria famiglia”.

Dipendenti? No, soci lavoratori

"Ulteriore elemento di precarietà – aggiungono i sindacati – le stabilizzazioni passavano dalla agenzia interinale alla società datrice di lavoro, attraverso l’adesione forzata al modello cooperativistico. Così i lavoratori erano costretti a diventare soci lavoratori, accettando obtorto collo le conseguenze che porta con sé questo genere di rapporto di lavoro (mancato pagamento di malattia, infortunio, maternità)”. Questo è il quadro che i sindacati, una volta entrati nell’impianto, ha dovuto affrontare.

Furono attivate fin da subito trattative per arrivare ad accordi migliorativi: “Solo da gennaio 2018 – aggiungono le organizzazioni sindacali – abbiamo conquistato l’integrazione di malattia - infortunio – maternità. Sono arrivati poi i primi accordi sull’orario per arginare la flessibilità, per l’estendere a full time i part time involontari, e infine gli accordi per l’introduzione dei buoni pasto e del premio di risultato. A gennaio 2020, sconfitto il modello cooperativistico, tutti i lavoratori sono diventati dipendenti di una società di capitali, ponendo così fine alla speculazione voluta da Amazon e Geodis per tenere basse le tariffe alla società in appalto. Il problema cruciale, verificato dal sindacato e trasmesso ai lavoratori, è stato l’insostenibilità economica dell’appalto (sia con la cooperativa che con la srl), se non attraverso la messa in discussione dei diritti dei lavoratori. Nel dicembre 2022, la Procura della Repubblica di Milano ha emesso un decreto di sequestro su valori economici, contestando l’intermediazione di manodopera in capo a Geodis e confermando, di conseguenza, anche la non sostenibilità economica degli appalti. È stato confermato ciò che il sindacato ha sempre sostenuto e denunciato: i lavoratori dell’impianto di Amazon non potevano avere condizioni normali di lavoro, poiché le tariffe riconosciute alle società non erano congrue, come quotidianamente accade in molti appalti della logistica”.

Calo di volumi di Amazon

"Fin dall’inizio del 2022 abbiamo temuto che i cali di volumi annunciati da Amazon potessero avere pesanti ripercussioni sul sito di Arquà Polesine / Villamarzana. In effetti, nel corso di tutto l’anno, la forza lavoro ha registrato una pesante contrazione proprio a causa della mancanza di commesse. Sicuramente ciò è derivato dalla conclusione del trend di incremento degli acquisti registrati durante la pandemia, e da una riorganizzazione interna ad Amazon. Le maestranze sono diminuite. Ad oggi – precisano i sindacati - rimangono 130 lavoratori a tempo indeterminato, senza la sufficiente attività lavorativa a garanzia di impiego minimo e relativo salario”. Il sindacato richiede da mesi l’apertura di un tavolo con tutte le società, anche per valutare l’apertura di ammortizzatori sociali atti a scongiurare ulteriori riduzioni del personale. “Anziché attivare un incontro sindacale, le società Geodis e Amazon hanno pensato bene di accordarsi, in sordina, affinché il cantiere venga chiuso, con licenziamento di tutto il personale nel luglio del 2023, mettendo i lavoratori davanti al fatto compiuto. Onestamente, ci interessa gran poco sapere se il motivo della scelta di Geodis di abbandonare questo sito (che ha in locazione) sia frutto di un mancato rinnovo commerciale tra Amazon e Geodis, e se questa situazione sia stata accelerata dall’inchiesta della magistratura. A noi interessano le conseguenze, e su questo punto ognuno deve assumersi le responsabilità sino in fondo. Da un lato non è accettabile che il più grande imprenditore al mondo arrivi in Polesine e, dopo appena 7 anni, decida che quelle maestranze che ininterrottamente hanno confezionato pacchi Amazon non siano più necessarie; dall’altro lato riteniamo scandaloso che Geodis, perso il cliente Amazon, abbandoni a prescindere l’ipotesi di trovare altri clienti, dimostrando per le attuali 130 maestranze, di cui metà donne, un assoluto menefreghismo. Viene da chiedersi: quanto sarebbe continuato il comportamento carbonaro? Ci avrebbero avvisati il 30 luglio della chiusura del sito? Ora la parola passa alle lavoratrici e ai lavoratori, umiliati da questi imprenditori che si riempiono la bocca di responsabilità sociale”.

“Battaglia per la difesa del Polesine”

L’attenzione dei rappresentanti sindacali è chiaramente il futuro dei 130 posti di lavoro: “Queste persone non possono essere lasciate sole, la loro battaglia è una battaglia per la difesa del Polesine, che rischia di spopolarsi da un lato, e dall’altro di essere terra di predazione da parte di colossi mondiali, che poi se ne vanno lasciando macerie. Chi si occuperà di queste 130 persone il giorno dopo la chiusura dell’impianto? Quante di loro avranno le competenze per ricollocarsi? E quante avranno la condizione fisica adeguata a riuscirci, viste le pratiche in istruttoria presso l’Inail per malattie professionali? E se domani questo capitasse in impianti ben più cospicui per numeri? Quale forza avranno sindaci, centri per l’impiego, sindacati, associazioni d’impresa, uffici dei servizi sociali, associazioni di volontariato per reggere l’onda d’urto e l’impatto sociale di tutto ciò? La battaglia per la difesa del sito Geodis di Arquà Polesine costituisce la difesa di un caposaldo. Tutto il mondo sindacale, del lavoro e d’impresa deve sentirsi impegnato nella difesa di questo sito. Chiameremo in causa tutte le istituzioni polesane – annunciano i sindacati – e chiederemo la solidarietà e la comprensione dei territori confinanti, anche perché la vicenda giudiziaria di Geodis può avere ripercussioni anche su altri impianti dell’azienda esistenti nel territorio Veneto dove la quasi totalità dei lavoratori è polesana”.

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