Case inutilizzate cedute per un anno. E bastano pochi mesi per riottenerle

L’assessore Frascaroli dettaglia il piano concordato con il prefetto

L'assessore Amelia Frascaroli (foto Serra)

L'assessore Amelia Frascaroli (foto Serra)

Bologna, 21 agosto 2014 - Una strada nuova da percorrere per risolvere l’emergenza abitativa. È questo l’obiettivo comune che sta raccogliendo attorno al tavolo della Prefettura attori pubblici e privati, tutti con un unico obiettivo: dare un tetto a chi ne ha realmente bisogno. Importante specificare ‘realmente’, perché nel protocollo di cui si sta discutendo in piazza Roosevelt da alcuni mesi si parla solo di quei casi in cui si dimostra il reale disagio abitativo. Sotto questo grande ombrello sociale che stanno cercando di costruire Comune e Prefettura, insomma, non potranno certo rientrare le occupazioni a sfondo politico. Il primo a fornire qualche dettaglio è stato il prefetto, dalle pagine del Carlino di ieri. Ai privati che non riescono a vendere e che non vogliono affittare, il Comune propone una cessione dell’immobile per un anno (ripagata con i canoni dell’edilizia residenziale pubblica). A quel punto il Comune può dare una casa alle famiglie, che così rientrerebbero anche in un percorso seguito. Il privato, dal canto suo, riavrebbe l’appartamento alla fine della cessione, sistemato e in buone condizioni (e senza occupazioni).

 

Vecchi Ferrhotel, case per i dipendenti degli istituti previdenziali, alloggi di enti pubblici e, infine, anche appartamenti privati. Nel nuovo protocollo per combattere il disagio abitativo dovrebbe rientrare tutto questo. Luoghi abbandonati, rimasti invenduti e andati all’asta cento e cento volte ancora. Con la disperazione che deriva dall’impennata degli sfratti, tutti questi spazi vuoti diventano possibili obiettivi per future occupazioni. L’assessore comunale al welfare Amelia Frascaroli spiega perché, dal punto di vista del proprietario, conviene cedere gli spazi, anche a titolo gratuito: «Noi possiamo dare alcune garanzie, firmate dal Comune e dalla Prefettura. Innanzitutto affidando gli spazi a noi, si sa che l’appartamento viene dato a chi davvero ne ha bisogno». 

Il controllo severo del Comune insomma garantisce che dentro le case non vada chi può permettersi altro. Poi c’è la garanzia che «se il proprietario trova un compratore serio può comunicarlo al Comune, che entro un breve tempo è tenuto a liberare lo spazio». In questo modo, trattandosi di un atto amministrativo e non di un affitto regolare, i tempi per ottenere lo sgombero si accorciano tantissimo. Si parla di circa tre mesi, al massimo, per riottenere l’immobile (uno sgombero solitamente richiede dai due ai tre anni).

La paura di molti proprietari è che poi, una volta restituiti, gli appartamenti si trovino in condizioni peggiori di come erano stati consegnati. «Ma questo non è vero — puntualizza Frascaroli —, perché quando noi entriamo li sistemiamo per renderli agibili e decorosi, occupandoci di tutta la manutenzione». Infine l’ultimo vantaggio: «In questo modo ci si difende dalle occupazioni. Anche perché i proprietari che si rivolgono alla magistratura per ottenere lo sfratto, se ci sono di mezzo dei minori, difficilmente vengono ascoltati». Ma prima di tutto questo, tiene a dire la Frascaroli, «bisogna coinvolgere gli enti pubblici». Quali? La lista è semplice: «Ausl, Ferrovie, Poste, Inail, Inps e Provincia». Tutti dotati di spazi invenduti, andati all’asta tantissime volte, ma ancora lì ad ammuffirsi. «È chiaro che nel loro caso contiamo che la collaborazione sia gratuita, perché se uno spazio è pubblico è di tutti».

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