"La Capannina è abusiva". Cancellato l’ok paesaggistico

Il Consiglio di Stato ha dato torto alla proprietà. Il condono fu nell’85

Bologna, i ritagli del Carlino del '79, quando esplose il caso Capannina

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Bologna, 2 marzo 2016 - Condonare non è bastato: la Capannina, storica discoteca di via San Vittore, è incompatibile con il vincolo paesaggistico del 1955 che tutela la zona collinare a sud della città. È questa la conclusione a cui arriva il Consiglio di Stato sulla vicenda dell’ampliamento abusivo del locale e della sua compatibilità con l’area di pregio ambientale, già esplosa sulla stampa negli anni ’70.

Con la sentenza depositata nei giorni scorsi, i supremi giudici amministrativi hanno definitivamente annullato l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune nel lontano 1985, quando la proprietà della discoteca chiese – e ottenne – la concessione edilizia in sanatoria. E ora il percorso si preannuncia in salita, tra il Comune costretto a prendere atto del pronunciamento dei giudici romani e i proprietari (la Giulia srl che incorpora la Capannina sas) che, dopo aver sanato gli abusi, si ritrovano adesso senza autorizzazione paesistica.

Un passo indietro, perché la vicenda viene da lontano. Come ricostruito in sentenza, l’edificio in via San Vittore aveva subìto un primo ampliamento negli anni ’60, un altro più importante nel 1974 e uno nel 1980, arrivando così a una superficie utile complessiva di 445 metri quadrati. Nell’ottobre del 1985 la proprietà presentò istanza di sanatoria al Comune per «modifiche interne, varianti estetiche e ampliamenti».

Il Comune, acquisito il parere favorevole della Commissione consultiva edilizia integrata, rilasciò la concessione edilizia in sanatoria che, all’epoca, valeva anche come autorizzazione paesaggistica. Poi l’inghippo. Nel 1995, dopo dieci anni, il Comune trasmise gli atti della Capannina alla Soprintendenza che, invece, ritenne la concessione data dall’ente incompatibile con il vincolo a tutela dell’area, informando di conseguenza il ministero per i Beni e le attività culturali.

Secondo la Soprintendenza e il ministero, le opere realizzate «per mole e collocazione deturpano in modo grave il quadro naturale di singolare bellezza panoramica costituito dall’area tutelata» e il Comune «non motiva il provvedimento di concessione in sanatoria». La conseguenza fu che il ministero, nel 1995, annullò l’autorizzazione paesaggistica del 1985 e la proprietà avviò la battaglia legale contro ministero e Comune (quest’ultimo non si è però costituito).

Per la società l’edificio era ed è compatibile con il vincolo, visto che «non supera i quattro metri d’altezza ed è perfettamente inserito tra le siepi e le piante d’alto fusto». Ma il Tar prima (2009) e il Consiglio di Stato poi sono arrivati a conclusioni opposte sulle quali, contattato, il legale di Giulia srl, Federico Gualandi, non intende rilasciare commenti.

Per i giudici amministrativi «manca nella concessione edilizia in sanatoria una qualsivoglia motivazione sulle ragioni che hanno condotto l’ente locale ad accordare l’autorizzazione con riferimento agli interventi abusivi eseguiti sull’area assoggettata a vincolo – è scritto in sentenza –, non potendosi comprendere sulla base di quali ragioni il Comune si fosse convinto della compatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela del contesto paesaggistico-ambientale».

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