Via i Daspo, anzi no. E scatta il ricorso

Bologna, 12 luglio 2016 - La pronuncia della Cassazione non basta: quei Daspo del Questore di Catania per 21 ultrà del Bologna restano. Perché se è vero che la suprema corte ha annullato l’obbligo di firma che aggravava i Daspo stessi, per la questura siciliana la Cassazione non si sarebbe pronunciata, invece, sul divieto d’accesso agli impianti previsto per cinque anni.

E ora per far valere le loro ragioni, i 21 giovani, tramite l’avvocato Gabriele Bordoni, hanno presentato ricorso gerarchico al Prefetto di Catania: l’obiettivo è infatti quello di far annullare non solo l’obbligo di firma (misura cautelare di tipo penale), ma anche il Daspo di gruppo (amministrativo) che la Cassazione ha già stigmatizzato.

Un passo indietro. Il 6 dicembre 2014 venne fermato a Catania, in occasione della partita di calcio Catania-Bologna di Serie B, un pullman di ultrà rossoblù. A bordo furono trovati manganelli, materiale pirotecnico e coltelli, senza che però quelle armi fossero poi attribuite a qualcuno in particolare. Scattarono i Daspo e l’obbligo di firma contro il quale il legale presentò ricorso in Cassazione (competente sulla limitazione della libertà). Per la suprema corte è stata ritenuta colpevolizzante «la sola condizione di essere presenti, ma prescindendo da qualsivoglia elemento concreto in grado di indiziare il collegamento tra i singoli e le armi». Insomma, colpevoli solo per il fatto di esserci, al di là della responsabilità, sempre personale.

Con i Daspo di gruppo «si parte penalizzando l’appartenenza a gruppi di tifosi sull’onda emotiva di alcuni episodi - rileva il legale - e così si avvia una deriva che può portare a procedere analogamente rispetto ad altre forme di aggregazione che non risultino gradite».