Lamborghini apre il Centro ricerca ipertecnologico a Seattle

Il centro di ricerca di Seattle si occupa di fibre di carbonio. Domenicali: "Gli Usa sono il nostro primo mercato". E Sant'Agata Bolognese lo stabilimento storico passerà da 80.000 a 150.000 mq

BOLIDE Una supercar Lamborghini nel cortile del nuovo centro

BOLIDE Una supercar Lamborghini nel cortile del nuovo centro

Seattle, 21 giugno 2016 - Lamborghini rilancia in Italia e scommette negli Usa. Di qua c’è Sant’Agata Bolognese, dove fervono i lavori per l’ampliamento dello stabilimento storico. Da 80 a 150mila metri quadrati, per ospitare la nuova linea di produzione che dal prossimo anno produrrà Urus, il nuovo Suv di alta gamma. Di là c’è la ricerca sull’utilizzo delle fibre di carbonio, che ha lasciato l’Università di Washington – e la collaborazione di Boeing – per prendere casa da sola. Nel cortile della nuova sede, a Seattle, sventola il toro giallo su sfondo nero. Sulle tute c’è il tricolore. Il nome è altisonante: ‘Lamborghini Advanced Composite Structure Laboratory’, Acsl.

La fila delle aziende che vorrebbero diventare clienti o entrarci anche solo a dare una sbirciata, intanto, si fa sempre più lunga. Benvenuti, ma Lamborghini ha chiarito che per prime vengono le sue auto. Eppure al taglio del nastro di ieri pomeriggio, insieme con Stefano Domenicali, nuovo presidente di Lamborghini, e il governatore dello Stato di Washington, Jay Inslee, c’era un parterre di rappresentanti di quegli industriali locali che, a Seattle, sono colossi mondiali: Microsoft, Amazon e anche Boeing, assieme a cui Lamborghini nel 2009 ha preso la rincorsa nell’uso di quelle fibre di carbonio che sulle scocche della Casa del Toro sono presenti fin dal 1986.

«Il carbonio – ammette Domenicali – rappresenta una delle più importanti chiavi del successo delle nostre vetture del passato, del presente e del futuro». L’altra è il Suv e, in subordine, l’America. Con il primo, ammette il nuovo presidente, «cambia del tutto il nostro quadro, perché Urus ci proietta in una dimensione e un segmento di mercato a cui non eravamo abituati». Se andrà bene, come si augurano a Sant’Agata, «raddoppieremo i nostri volumi nei prossimi 5 o 6 anni».

Poi c’è l’America, che non è soltanto ricerca. «Gli Stati Uniti quest’anno sono stati il nostro mercato più importante, per volumi, presenza e significato del nostro marchio sul territorio», chiarisce Domenicali. «Puntiamo a crescere ancora, qui come nell’Medio Oriente e nel Far East, senza trascurare l’Europa». Una geografia differenziata per essere «pronti a rispondere a shock come la Brexit e a una estrema volatilità dei mercati». L’esempio? «I nostri clienti storici sono pronti ad aspettare anche un anno la propria auto, informandosi sull’andamento e venendo in sede a controllare». Oggi «in Russia o Cina i clienti non hanno pazienza, alle loro esigenza dobbiamo saper rispondere».

Il target? Sempre più giovane, riporta il presidente. «Il nostro cliente è facoltoso, ha tra 35 e 45 anni e una personalità forte, con la volontà di crescere anche grazie al possesso di un marchio storico ma altamente tecnologizzato». È interessato ai telai di carbonio, per dire, e non certo ai motori elettrici: «Un tema di priorità assoluta nel mondo auto, ma che non ha ad oggi una tecnologia adeguata alle prestazioni di una auto super-sportiva».

E la Formula Uno? In fondo Domenicali viene da lì. Lui abbozza: «Mai dire mai, ma non voglio neppure alimentare false illusioni: una scelta del genere non c’è, neppure all’orizzonte. Dobbiamo focalizzarci sulle supersportive, e percorrere ancora tanta strada».

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