C'è aria di libro bianco

Cesare Sughi

Cesare Sughi

Bologna, 2014 - La gestione amministrativa di Bologna cambia volto. Dal decentramento all’accorpamento, dai quartieri come centri servizi ai quartieri come luoghi di una sussidiarietà in grado di promuovere progetti nati dal basso per una cittadinanza attiva. Se la gloriosa istituzione che compie mezzo secolo non va in soffitta, poco ci manca. Presto, come vedremo, per stilare giudizi definitivi sulla ristrutturazione. Ma interrogare la storia si può, anzi si deve, cercando in essa qualche luce, quando l’orizzonte non è ancora chiaro del tutto (la riforma partirà nel 2016).

Leggiamo. «Promuovere e sviluppare un modo di scelta e di deliberazione da parte dell’Amministrazione che, senza snaturare i principi e le strutture cardine dell’ordinamento giuridico italiano e della legislazione in materia... consentisse la più larga e viva partecipazione possibile a tutti i cittadini, considerati nelle articolazioni organiche della città». Non sono parole dell’attuale sindaco, non è l’altro ieri, ma è il ‘Libro bianco per Bologna’ del 1956, redatto da Giuseppe Dossetti e Achille Ardigò per la battaglia delle amministrative.

E quelle «articolazioni organiche» sono i quartieri, indispensabili per fornire a una città in espansione gli strumenti per un contatto democratico, dunque non rigido e non ideologico, con l’opera di Palazzo d’Accursio. Si sa come andò. Il progetto dossettiano divenne cenere nel fuoco della schiacciante vittoria di Dozza. Ma il tema cominciò a mettere frutti in Comune. Dal ’51 al ’61, Bologna crebbe di 15mila abitanti l’anno. Il decentramento, almeno tecnicamente, s’imponeva. I quartieri, 15, insediarono i loro primi consigli il 5 giugno 1964. E l’avventura iniziò, mai pienamente compiuta, fra rimpasti regolamentari e ricerca dei perfetti rapporti operativi e politici con le varie giunte. C’è aria di ‘Libro bianco’ nell’annuncio del sindaco. La trovi nell’esigenza di coordinamento, nell’intento di creare unità omogenee, nel riferimento a un’esperienza di comunità e, fondamentale, nella – speriamo – fine contemporanea del quartiere come cinghia di trasmissione del Palazzo e della rappresentanza come monopolio dei partiti (ciò che impedì al decentramento ‘rosso’ di essere un punto di identità collettiva). Già adesso, ancor prima di passare all’approvazione del consiglio comunale, questa può essere una svolta.

Intanto si cancella l’infelice decisione di Cofferati (2008) di disperdere fra i quartieri i servizi sociali (con esiti luttuosi), riportandoli all’ Asp. E l’istruzione farà capo all’Istituzione scuola. Calo drastico delle deleghe, insomma, tranne, si suppone, sportelli demografici e lavori pubblici. Tutto bene, allora? Tutto come richiedono i tempi, Bologna Metropolitana, il taglio di soldi e poltrone. Ma tutto ruota su due cardini, o girano bene quelli o niente. Il primo è l’esigenza che a un’equilibrata divisione per quantità di popolazione corrisponda un’omogeneità antropologico-culturale (penso allo spezzettamento del centro e alla nuova destinazione della zona universitaria Irnerio-Zamboni). E, alla fine, la sussidiarietà, ossia l’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione. All’epoca dei quartieri dossettiani non se ne parlava. È su questo concetto, non tanto chiaro in Costituzione, che si discuterà, e che occorrerà una nuova flessibilità, una più concreta capacità di ascolto e di collaborazione, da parte della giunta. Che cosa accadrebbe quando da un quartiere dovesse partire un’iniziativa privata in alternativa, per minori costi e migliori risultati previsti, a un analogo progetto pubblico? Perché questa è la sussidiarietà. La risposta, come canta Bob Dylan, «è nel vento». Il quale, anche nella politica locale, soffia da tutte le parti.

 

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