Riccardo Ruini conquista l’America: primo all’Università dei Nobel

Miglior studente alla Columbia: «Cervello in fuga? No, torno in Italia»

Riccardo Ruini col padre

Riccardo Ruini col padre

Sassuolo (Modena), 4 giugno 2017 - Prezioso cervello per qualche anno in fuga all’estero – il tempo di dimostrare al mondo accademico statunitense di che pasta è fatta la spesso ingiustamente bistrattata formazione scolastica italiana – ma adesso fortunatamente tornato in patria: «Voglio stare vicino alla mia famiglia, credo che anche l’Italia sappia offrire grandi opportunità a chi vuole lavorare». Il sassolese Riccardo Ruini, 27 anni, è stato indicato come il miglior studente della Columbia University di New York (Columbia Business School), uno dei più importanti templi del sapere mondiali. Dove per intenderci ha imparato a investire Warren Buffett (il terzo uomo più ricco del pianeta) e che ha ospitato alunni del calibro di Barack Obama, oltre a 62 premi Nobel (tra cui Carlo Rubbia ed Enrico Fermi), 8 dei quali attualmente in cattedra.

Riccardo, figlio del noto gestore di investimenti Luca Ruini, si è diplomato al liceo classico Formiggini di Sassuolo. Nel 2013 ha conseguito la laurea con lode e bacio accademico all’Università di Modena, facoltà di Ingegneria Gestionale. Durante e dopo l’impegno scolastico ha trascorso un periodo alla Stanford University (in California) e portato avanti esperienze lavorative in Cina e Stati Uniti oltre che in Italia. Due anni dopo è riuscito a entrare nella ristretta cerchia di studenti per il ‘Master in Business Administration (MBA)’ della Columbia University che, attraverso una rigidissima selezione di ingresso, accoglie solo il 7% dei migliori laureati al mondo. A dicembre dello scorso anno Ruini è stato premiato come miglior studente con un’importante borsa di studio e nei giorni scorsi si è tenuta la cerimonia di consegna del Master: Riccardo è stato insignito del ‘Dean’s Honors with Distinction’, l’equivalente del nostro bacio accademico, riservato al Top 5%, gli studenti più promettenti.

Lui però appunto non rimarrà negli Stati Uniti, seppure di proposte di lavoro nella Grande Mela ne abbia ricevute. «Torno a lavorare a Milano nell’ambito della consulenza strategica per le aziende che vogliono crescere, internazionalizzare o, in alcuni casi, ristrutturare – spiega al telefono – Voglio restare il più vicino possibile alla mia famiglia e poi credo ci sia bisogno di sostenere le aziende italiane nelle scelte manageriali». Gli stipendi sicuramente più bassi e l’incertezza nelle prospettive professionali non lo spaventano: «Credo che quando ci si impegna, quando si fanno le cose con umiltà, ci siano grosse possibilità anche in Italia, dove comunque ci sono aziende all’avanguardia, ammirate anche Oltreoceano». Ma quali sono le principali differenze nel mondo del lavoro tra Italia e Usa? «Sostanzialmente tre: netta separazione tra shareholder e management nelle aziende, la maggiore presenza in America di figure iperspecializzate (forse troppo), maggiori chance offerte ai giovani: ma è un percorso che vedo si comincia a intraprendere anche in Italia, speriamo continui...».