Strage fotocopia nel nostro tribunale: lo Stato ha bloccato il risarcimento

Uccise la moglie e il cognato, poi venne freddato da un poliziotto Spari in tribunale a Milano: tre morti (leggi l'articolo)

I soccorsi all’interno del tribunale

I soccorsi all’interno del tribunale

Reggio Emilia, 10 aprile 2015 - Era accaduto anche a Reggio, nel nostro palazzo di giustizia. Tre morti e due feriti sul pavimento dell’aula 5. 17 ottobre 2007, ore 10,30. Una strage provocata dalla rabbia cieca di un uomo che non voleva la separazione.

Il marito assassino si chiamava Clarim Fejzo, 40 anni, albanese, padre di due figlie. Entrò in tribunale armato di pistola calibro 7,65 e ferì a morte la moglie Vjosa, 37 anni, uccidendo poi sul colpo il fratello della donna Arjan, 32 anni, che cercava di disarmarlo. Colpì di striscio l’avvocatessa della moglie, Giovanna Fava, e ferì a una gamba uno dei due poliziotti accorsi appena sentiti gli spari. L’altro freddò Fejzo mentre stava inserendo un nuovo caricatore per andare avanti nel suo folle intento. Nell’altra stanza era in udienza l’allora presidente del tribunale, Roberto Piscopo. Allora si pensò che l’uomo volesse uccidere anche lui.

Otto anni, ma la partita giudiziaria innescata dalla tragedia è tuttora aperta. Lo Stato, pur condannato in primo grado a risarcire la moglie, le tre figlie e un fratello di Arjan Demcolli per mancata vigilanza, non ha ancora risarcito un euro.

Ora, dopo il massacro compiuto nel tribunale di Milano, la politica parla di mancata sicurezza e di omissioni nella vigilanza, di eventuali falle da individuare. Ma la mano destra non sa o finge di non sapere cosa fa la mano sinistra. Presto detto: l’Avvocatura dello Stato - che fa il suo mestiere - è ricorso in appello contro la sentenza di primo grado, per la quale il ministero della Giustizia deve pagare un milione e 600mila euro alla famiglia Demcolli, assistita nella causa dagli avvocati Carmelo, Cristina e Liborio Cataliotti.

E di fronte al timore che quella somma, se subito sborsata, non tornasse più indietro in caso di vittoria in secondo grado, l’Avvocatura dello Stato ha ottenuto la sospensione dell’esecutorietà della sentenza. L’appello è fissato per la fine del mese, a brevissimo dunque, alla corte d’appello di Bologna.

Ma come ha motivato l’Avvocatura il ricorso contro la sentenza del tribunale civile di primo grado? Qui si viene al dunque. Anzitutto ci vuole una legge - e non c’è - per stabilire l’obbligo giuridico di impedire i reati nei confronti di chi frequenta i locali: non basta una semplice disposizione amministrativa, il dovere generico di tutela del cittadino è solo discrezionale. Tutt’al più, la difesa va prevista nei confronti del personale.

Nel caso specifico, lo Stato si ritiene estraneo alla serie di cause che hanno portato alla sparatoria, e il tribunale di Reggio, ritenuto «a basso rischio», aveva già le guardie giurate. Peraltro, il folle gesto dell’omicida «interrompe qualsiasi nesso di causalità». E poteva succedere anche in questura, al parco, in ospedale, in banca, in stazione, alle poste, sostiene l’Avvocatura (anche se si potrebbe obiettare che il tribunale è luogo ben più a rischio, visto che è frequentato anche da imputati criminali). La causa va avanti. Quanto ai defunti coniugi Fejzo, hanno lasciato due figlie, una delle quali poco tempo fa ha incaricato l’avvocato Marco Napoli di studiare la percorribilità di una causa risarcitoria.