Piena del Po, in canoa per nutrire i gatti bloccati. E i veterani sorvegliano le rive

Il nostro viaggio in barca nelle golene allagate: "Abbiamo paura" VIDEO Il fiume si alza

La golena di BrescelloL’albergo del Po di BorettoIl Lido Po di GuastallaSull’argine di LuzzaraSull’a

La golena di BrescelloL’albergo del Po di BorettoIl Lido Po di GuastallaSull’argine di LuzzaraSull’a

Reggio Emilia, 16 novembre 2014 - Sta seduto sulla panchina verde. Gli occhi rossi, fissi su quell’acqua che gli ha piagato le mani, forgiato il carattere. Che ha deciso la sua storia. Romano Gialdini ha 76 anni. «Qui mi chiamano Romano del Ponte», scandisce con orgoglio. Tutta la sua vita l’ha trascorsa lì, a Boretto, a monitorare quel ponte di chiatte che prima di lui era stata l’unica fonte di sostentamento di suo padre Dino (al quale ha intitolato il prezioso museo) e suo nonno Archimede. Quella struttura che collegava la sponda reggiana del Po con quella di Viadana ha chiuso nel 1967; ma Romano non l’ha abbandonata e si è reinventato un mestiere, vincendo un bando per la pulizia fluviale e lagunare. «Arrivavo fino a Jesolo... », sorride con la sua coppola scozzese ben calcata in testa. E quando lo fa, sul suo viso compaiono i segni del tempo, quelle rughe che tanto somigliano ai rivoli del fiume, pieni di saggezza, di storie, di umidità e di pazienza.

«Ne abbiamo viste tante, qui, di piene sa? Venga con me... ». Saliamo sul battello. Romano afferra un remo, i suoi 76 anni e la stanchezza («sono in piedi dalle 3... ») non li sente più. In un attimo siamo nel mezzo della golena allagata di Boretto, là dove sulla facciata di una casa suo nonno ha iniziato a murare le targhe delle piene straordinarie che si sono susseguite, dal 1917 in poi: 51, 77, 94, 2000. E se le ricorda tutte, l’uomo del ponte. «Qui siamo abituati a vederne almeno due l’anno: una in autunno e una in primavera... Diciamo che quella di adesso è un po’ più grossa del normale... ». Dal pelo dell’acqua spuntano le sommità dei cartelli, le cime degli alberi. Se non fosse per la preoccupazione della nuova ondata che arriverà, ci sarebbe da rimanere incantati davanti allo spettacolo della potenza della natura. Davanti a quell’orizzonte fluido che non trova una fine.

Continuiamo il nostro viaggio. Pochi chilometri più in là anche il paese di Peppone e don Camillo sta con il fiato sospeso. Dalla piazza di Brescello all’argine maestro c’è una manciata di metri. Lì il Po ha già abbracciato l’Enza, e preme contro le sponde. Il campo addestramento cani è completamente invaso dall’acqua. I padroni arrivano alla spicciolata, animali al guinzaglio. Quasi a volerlo salutare, in un beffardo pellegrinaggio. È un via vai continuo: un occhio al fiume, l’altro al cielo. «Fa paura, eh... », sussurra un papà marocchino, mentre tiene per mano la figlia. «Noi abitiamo proprio qui di fianco». Via di nuovo, seguendo l’argine. A Guastalla gli uomini della Protezione civile sorvegliano l’avanzare delle onde e gli argini interni, che ancora salvano i raccolti. Un uomo entra nella sua canoa. Qui lo chiamano Bricco. «Vado a dar da mangiare alla colonia di gatti che è rimasta intrappolata al Lido Po», sussurra. Dovrà pagaiare per qualche chilometro. Ma ci è abituato, dice. Per lui è normale.

Il vento, però, porta via. Si fa fatica a stare in piedi. E tira controcorrente. «Per questo il livello del fiume non cala, tiene ferma l’acqua», spiega un volontario nella sua tuta giallo fosforescente. I curiosi fanno la spola per scattarsi una foto davanti alle transenne. Lo stesso a Luzzara. Stessa scena. Da una parte i turisti, con i cellulari in mano. Dall’altra la gente del posto che arriva, controlla e se ne va. In silenzio. «Noi siamo tranquilli. Chi il Po lo conosce e lo rispetta sa quando deve aver paura. Speriamo solo che smetta di piovere, altrimenti... » Neanche il tempo di dirlo. Le nubi nere scaricano nuovi goccioloni. Si aprono gli ombrelli colorati. E si inizia a sperare.