Kevin Bonifazi e il Bologna Fc: "Ferito da insulti e critiche. Ma ora possiamo volare"

Il difensore si racconta a 360 gradi: "Sono un tipo onesto, senza filtri, ma questo è stato spesso scambiato per presunzione. L’applauso del Dall’Ara con il Lecce? Emozionante"

Bologna, 4 dicembre 2022 - "E’ il posto più bello del mondo, il ring. Sai quello che ti può capitare", diceva Mike Tyson, uno che ha preso a pugni la vita forse proprio come forma di difesa. La difesa è il posto - anche dell’anima - scelto da Kevin Bonifazi (video). "La sua biografia è tra i miei libri preferiti: Tyson è un personaggio bello forte", spiega il ventiseienne, che di cazzotti ne ha incassati tanti, spesso allo stomaco, ma senza finire mai ko. Anzi, dall’arrivo di Thiago, il difensore si è rialzato e ha preso il volo, come tutto il Bologna. Ma mentre i rossoblù sono stati fermati solo dalla sosta mondiale, lui, Kevin, si è visto tirare il mantello da un infortunio al ginocchio nella sfida contro il Lecce.

Kevin Bonifazi, 26 anni, è arrivato a Bologna nell’estate 2021 (foto Schicchi)
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Bonifazi, la prima domanda è d’obbligo: come sta?

"Sto meglio, ho lavorato tanto in vacanza. Mi hanno lasciato un programma con cui sono riuscito a tenere il tono muscolare. Questa settimana me la sono presa in più per evitare ricadute, ma conto di rientrare in gruppo da domani".

Riavvolgiamo il nastro a quella notte con il Lecce. L’infortunio, sì, ma anche l’uscita dal campo tra gli applausi scroscianti del Dall’Ara. Come l’inizio di un nuovo capitolo tra lei e la tifoseria.

"Sono stato davvero contento di quell’applauso, anche se non me lo sono potuto godere in fondo perché piangevo anche dal dispiacere. Il rapporto con la città è un discorso molto complesso, nel senso che io credo di essere una persona vera: non ho mai fatto niente per compiacere gli altri o tirare la gente dalla mia parte, con atteggiamenti che vanno fuori da quello che sono, e credo questo arrivi alla lunga. Poi chiaro che ci sarà sempre qualcuno a cui non piaci. Ma io non mi esalto e non mi deprimo mai".

Cosa non ha funzionato nel primo anno? Forse una grossa parte di tifosi ha scambiato per presunzione quella che, magari, è solo una corazza.

"Sì, sono sicuro sia andata così. Ho imparato a mettermi la maschera: quando vai in campo, diventi il tuo alter ego, il Kevin calciatore, e cerchi di lasciare fuori emozioni e tensioni. Ho imparato negli anni a blindarmi in me stesso. Ma se questo poi da fuori viene letto come presunzione, mi dispiace perché non è così: lo faccio solo per il mio bene. Devo essere onesto: molte volte sono stato ferito nell’orgoglio, come persona, leggendo cose su di me cattive, come ‘speriamo si sia spaccato’. E’ triste, non per me, ma per il mondo del calcio. Il tifoso ha tutto il diritto di arrabbiarsi se facciamo una gara orrenda, ma ci sono dei limiti, umani: trovo inaccettabile quando si va nel personale, al di fuori della partita. Può capitare che uno dia tutto - e non è una frase fatta -, ma faccia una gara di merda. Succede a tutti, in tutti i lavori. Poi certo se uno è lavativo, non si impegna, allora, sì, lì puoi attaccare anche la persona perché manca di valori".

Però la storia dei ritardi agli allenamenti non ha aiutato...

"Sfido chiunque a fermare cento persone per strada e chiedere loro: in un anno sei arrivato mai in ritardo di dieci minuti? Se tutti e cento rispondono di no, allora io prendo, mi metto in ginocchio e chiedo scusa a tutti. Può capitare invece: il garage non si apre, un’auto parcheggiata davanti, trovi più traffico. Purtroppo o per fortuna, abbiamo regole molto serrate e quando sbagliamo, sembra che abbiamo ucciso qualcuno. Io ho accettato l’esclusione (col Verona ai tempi di Sinisa, ndr ) senza contestare, certo mi è dispiaciuto perché potevo giocare. Ma da lì a passare come un lavativo, una brutta persona, c’è di mezzo un mondo. Tutti i giorni vengo prima e vado via dopo, ma non conta perché è il mio dovere e mi sta bene. Non voglio una medaglia, ma neanche essere crocefisso. Si tratta di un imprevisto, una volta, fossero anche due, un anno è lungo. Può succedere".

Invece cos’è successo dall’arrivo di Thiago? Lei e il Bologna vi siete trasformati.

"La vera forza del mister è la sua umanità. Ha saputo coinvolgere tutti. Mi ricorderò sempre un dettaglio: il primo giorno ci ha aspettato tutti davanti alla porta della sala video, ci ha stretto la mano, chiamandoci ognuno per nome; può sembrare una banalità, invece è stato un gesto che ha rotto subito le barriere, ha creato un’intimità che magari non c’è stata con altri allenatori in passato. Seconda cosa: dà l’esempio di come si debba lavorare. Quando hai il leader come esempio, o gli vai dietro o sei fuori. Thiago ci ha stimolati, poi ci ha messo le competenze tecniche che credo si siano viste. In tempi non sospetti lo dicevo nelle interviste: aspettate, la strada è giusta. L’ho detto quando perdevamo e lui veniva criticato. L’ho detto dopo la vittoria in Coppa Italia: sono contento perché questa gara darà forza e coraggio a uno staff che se lo merita. Arriveranno i risultati. E infatti sono arrivate cinque vittorie su sei".

In Coppa per lei è arrivata anche la fascia di capitano: si immagina qui a lungo?

"Si pensa io sia un presuntuoso, invece quel giorno quando in riunione il mister ha detto ‘il capitano è Kevin’, mi sono sentito come se non avessi mai giocato a calcio, mi è arrivata un’emozione al petto, mi tremavano le gambe. E’ stato un onore essere il capitano del Bologna, e dirò di più: sentire quest’emozione mi ha dato il desiderio di ottenere quella fascia; non che la voglia strappare a Roby (Soriano, ndr ) , ma mi sono sentito benissimo a indossarla. Spero di rimanere qua a lungo. Certo, non nascondo che la mia ambizione sia fare le coppe, la Champions, vincere un campionato. Ben venga se sarà col Bologna, perché significa che saremo cresciuti insieme".

Ma realisticamente quanto è lontana l’Europa?

"A livello qualitativo potremmo anche esserci, ci manca la consapevolezza di chi siamo. A gennaio avremo un percorso difficile, ma non dobbiamo affrontarlo con il mood da ‘se perdiamo ci sta, il resto è tutto di guadagnato’. Dobbiamo almeno dare il massimo per vincere. Ma sono sicuro il mister ci aiuterà, lui ci fa capire tutti i giorni che l’obiettivo è vincere la prossima gara. Quando faremo nostra questa mentalità, allora scatterà quel quid che fa la differenza. Intanto dobbiamo rimanere nella parte sinistra della classifica, poi nel prossimo anno puntare già a un traguardo europeo".

Peccato che la sosta vi abbia fermato sul più bello. Il timore dei tifosi è che si perda l’effetto magico che si era creato?

"Non è un effetto magico, è il frutto del lavoro che stiamo facendo. Il mister è lo stesso, noi siamo gli stessi: mi auguro possiamo riprendere dov’eravamo rimasti. Poi come andrà è un’incognita, ma lo è per tutti, vista la situazione atipica, senza precedenti. Quello che posso dire con certezza è che questo mese sarà molto utile per lavorare su quello che ci è mancato in ritiro. Dal punto di vista atletico, lo staff ci ammazza di allenamenti, siamo sotto preparazione, facciamo doppio praticamente tutti i giorni. Sicuramente arriveremo molto pronti alla Roma".

In una Nazionale che si deve ricostruire, potrebbe esserci spazio per Bonifazi?

"Ovviamente l’azzurro è uno dei miei obiettivi. Vedere i mondiali ti fa dire ‘vorrei provare quella cosa anch’io’. Va al di fuori di interessi e soldi: giocare per 60 milioni di tifosi è amore, è adrenalina pura".

Al di là del lavoro, era anche il rapporto con Mihajlovic. L’ha più sentito?

"Abbiamo provato a mandargli dei messaggi, ma ha avuto giorni poco buoni. Tramite Lollo e Roby (De Silvestri e Soriano, ndr) gli abbiamo mandato un abbraccio".

Un compagno su cui punta per il 2023?

"Niko Moro. Ci sarà una sua evoluzione, ha qualità e grandi idee".

L’avversario più difficile affrontato finora? Vale anche dire Arnautovic in allenamento.

"No, Marko non è difficile in allenamento, è tranquillo. Attenzione: rompe le scatole, eh, ma non ci mette quella ferocia nei duelli. In partita è un animale, si trasforma. Quindi dico Muriel: se è in giornata, meglio stare a casa. E poi Immobile, uno di quei giocatori odiosi da marcare: scatta 800mila volte, ti fa impazzire".

Com’è stato crescere a Toffia, paesino di mille anime in provincia di Rieti?

"Particolare, ma bello. Qualcuno veniva a scuola con il trattore accompagnato dal nonno. Mio padre ha un’azienda agricola e a volte mi portava con il camion agli allenamenti a Roma: giocavo nella Tor Tre Teste, io mi vergognavo, tutti con i macchinoni, c’erano le moglie di avvocati con il Cayenne. Mio padre mi diceva: di cosa ti vergogni? Vai e dai il massimo".

Cos’è la famiglia per lei?

"Tutto. Vengono sempre a vedermi, anche a Bologna. Mio padre era il primo a soffrire in tribuna quando sentiva quegli insulti. Mia madre, poi, non ne parliamo: piangeva. Ma dopo gli applausi con il Lecce erano finalmente felici".

Tanti colleghi si stanno costruendo un domani extracalcistico, lei a che punto è con il suo futuro?

"E’ già iniziato da qualche anno. Ho fatto investimenti immobiliari, anche all’estero. Ho aperto insieme a dei soci una catena di ristoranti, i primi due a Torino, e un centro di padel vicino casa. Abbiamo un’azienda di famiglia che produce olio, sono dentro alle dinamiche, mi tengo informato. Poi investo in borsa e amo il design. Sono stato a Miami in queste ferie, ho visitato i district design . Fra qualche anno magari mi piacerebbe studiare queste cose, ristrutturare davvero una casa mia".

Intanto la sua casa è Bologna.

"Vivo in centro. Due-tre volte a settimana esco, passeggio, mi vedo con amici bolognesi. Ma chiariamoci: non faccio chissà che vita mondana. Siamo stanchi, le giornate sono lunghe: gli allenamenti di Thiago ci ammazzano".