Una donna palestinese con un abito blu intenso che la veste e l’hijab di un arancio intenso che le copre il capo abbraccia il corpo di sua nipote avvolto in un telo bianco. Questa foto di Mohammed Salem che ci riporta alla mente una Pietà, ha fatto il giro del mondo nell’ottobre 2023 e poi ad aprile ha vinto il World Press Photo 2024. È tra gli scatti in mostra da oggi all’8 dicembre alla Galleria Modernissimo, dove per il secondo anno è arrivata una selezione delle immagini che hanno ottenenuto un riconoscimento al più prestigioso concorso fotogiornalistico internazionale, quel World Press Photo che dal 1955 racconta visivamente il mondo e le sue infinite storie. Questo grazie ai fotogiornalisti-fotografi della stampa e documentaristi free lance- che portano avanti una vera e propria missione "spesso in circostanze inimmaginabili", come sottolinea Fiona Shields, photo editor del Guardian e presidente della giuria. Le foto proposte nella galleria sotterranea della Cineteca (che con questa mostra completa un trittico audace che parte dal Bar Luna di Alice Rohrwacher, passa per Tutti De Sica e approda alla cronaca del mondo) in collaborazione con Image, parlano proprio di quella tensione alla testimonianza fotografica, con tutta la passione possibile, a volte a costo della vita. In effetti la foto vincitrice è stata scattata a Gaza un anno fa, era il 17 ottobre 2023, e Salem, fotografo di Reuters, divenuto padre da poco, si è trovato davanti questa scena che non ha mai smesso di ripetersi da allora, poiché i bombardamenti su Gaza non sono mai cessati. Se questa è la foto simbolo del 2023, camminando lungo le pareti firmate World Press, si potranno approfondire altre storie dal mondo. E la cosa interessante, guardando i reportage, è che nella costruzione corale degli scatti, professionali e perfetti nel catturare la cronaca, c’è sempre una foto ’madre’ che emerge per bellezza e pienezza di significato. Succede ad esempio con ’The Two Walls’ di Alejandro Cegarra: l’immagine di un migrante che cammina sopra al treno merci noto come ’La Bestia’, località Piedras Negras, è da brividi e al contempo arte. O la foto della demolizione di una chiesa ruspe in Germania, nel villaggio di Luetzerath, sempre più ’No man’s land’, come recita il titolo del reportage di Daniel Chatard, raso al suolo per far posto a miniere di carbone. E ancora Lotomau Fiafia, un signore di 72 anni di Kioa Island nelle Fiji, fotografato da Eddie Jim nel servizio ’Fighting, not sinking’ per raccontare l’innalzamento del livello del mare. Se le immagini più cruente e disperate muovono i nostri più profondi sentimenti, non sono da meno le fotografie intime e positive di Lee-Ann Olwage che nella storia sudafricana Valim-Babena, racconta di ‘Dada Paul’, anziano 91ene colpito da demenza senile considerato ’matto’ dai suoi dieci figli. Ma non dall’undicesima, Fara, che ha intravisto qualcosa di differente, una sfumatura particolare, scoprendo poi la demenza e portandolo a vivere con lei e la figlia: la foto di Dada con la nipotina davanti allo specchio, mentre si preparano per la messa, è una carezza. "Un reportage – commenta Babette Warendorf, Exhibitions and Fundraising Director – che colpisce perché non affronta i cliché dell’Africa, ma racconta una storia universale". Biglietto cumulativo anche per la mostra Tutti De Sica, 13 euro.
CronacaCapire il mondo. Premiati gli scatti che lo raccontano