Cavallini, niente carcere Ma resta in semilibertà

Strage, rigettata richiesta dei pm di revocarne l’attuale misura: "E’ pericoloso". Respinta dalla Sorveglianza anche la libertà condizionale avanzata dalla difesa

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di Nicola Bianchi

Gilberto Cavallini, il ’nero’ della strage di Bologna, resterà semilibero. A Terni, dove di giorno lavora e di sera torna a essere detenuto. Mancano ancora i requisiti per la concessione di quella libertà condizionale chiesta dall’ex Nar, "prematura" per il tribunale di Sorveglianza di Perugia, sebbene il suo "lodevole" percorso di riabilitazione. Ma i giudici, oltre a rigettare l’istanza di Cavallini – discussa dall’avvocato Luca Brufani che lo rappresenta con Gabriele Bordoni e Alessandro Pellegrini –, hanno rimandato al mittente anche la richiesta di revoca della semilibertà dei pm Antonello Gustapane e Antonella Scandellari. La Procura, infatti, il 3 febbraio nell’inviare a Perugia copia della sentenza di primo grado di condanna all’ergastolo del ’nero’, aveva chiesto se fosse idoneo proseguire con la semilibertà o se aggravarla con il carcere. Sia "in virtù della gravità del reato" di strage, sia per il "comportamento processuale connotato da un’assoluta mancanza di resipiscenza", persistendo nel fornire "una versione del modo in cui ha trascorso il 2 agosto 1980 con i correi Fioravanti, Mambro e Ciavardini", definita dalle sentenze "un falso alibi". Prova, sempre per i pm, di una "devianza criminale non compatibile con la misura alternativa".

Cavallini, detenuto dal 1983 e condannato a vari ergastoli, iniziò nel ’95 a fruire di permessi premio, con una prima concessione della semilibertà nel 2001. Misura revocata nel 2003 per una serie di violazioni in materia di armi e ricettazione. Il suo percorso "intramurario" riprese con buona lena, nel 2013 la laurea con lode in Lettere e nuovi benefici e uscite per ragioni familiari e di lavoro. Da Perugia però, nel 2018 arrivò una prima bocciatura alla libertà condizionale, nonostante i suoi correi, Fioravanti e Mambro, liberi dal 2004 e dal 2008.

Condizioni che, per i giudici umbri, non esistono ancora per Cavallini per via di "un grave vulnus del rapporto fiduciario tra il comportamento del semilibero e organi di trattamento". Per la sussistenza di una "zona d’ombra" per aver taciuto su una serie di argomenti nel processo sulla strage, pur nel "suo pieno diritto di difesa". Lasciando trasparire ancora, 40 anni dopo, "un senso di appartenenza che ancora lo spinge a parlare di ’noi’, riferibile ai Nar", piuttosto che di "un ’io’ che abbia fatto i conti con quanto avvenuto". Il suo percorso è contrassegnato da "lodevoli iniziative", come il volontariato o le donazioni alle vittime del terrorismo. Ma nonostante la sua "significativa presa di distanza" dalle vecchie scelte sanguinarie, e il suo impegno per "pace e giustizia", manca l’ultimo passo per la libertà.

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