"Fernanda, una storia che mi seguiva"

Luxuria stasera al Duse in ’Princesa’: "Io sono stata fortunata, ma ho conosciuto tante donne come lei"

"Fernanda, una storia che mi seguiva"

"Fernanda, una storia che mi seguiva"

La storia nasce nel carcere di Rebibbia negli anni Novanta. Lì, Princesa, brasiliana, condannata a sei anni per tentato omicidio, conosce Giovanni Tamponi, pastore sardo. Si parlano attraverso le sbarre perché Fernanda Farias De Albuquerque (Princesa) è una donna transessuale, quindi detenuta in un braccio isolato del carcere. I due però riescono comunque a scambiarsi quaderni scritti in una miscela di portoghese, sardo e italiano. È su suggerimento di Tamponi, che Fernanda inizia a scrivere la propria storia all’ex-brigatista Maurizio Iannelli, anche lui nello stesso penitenziario. Un’autobiografia che ispirerà anche la canzone di Fabrizio De Andrè. Lo spettacolo Princesa va in scena stasera alle 21 al Teatro Duse. Sul palco nei panni della protagonista c’è Vladimir Luxuria, per la regia di Fabrizio Coniglio. "Penso che la storia di Fernanda mi segua da molto tempo – racconta Luxuria –. Mi presentarono Maurizio Iannelli prima che uscisse il libro, il quale mi parlò della raccolta di testimonianze. Poi conobbi Dori Ghezzi, andai nella sua casa di Milano. Quando mi sedetti su una poltroncina, lei, guardandomi con il sorriso e gli occhi che luccicavano, mi disse: ‘Sei nella stessa posizione in cui vedevo Faber e Ivano Fossati che cominciavano a costruire la canzone Princesa’".

Luxuria, qual è stata la difficoltà più grande nell’avvicinarsi a questo ruolo?

"Durante le prove avevo deciso di non portare avanti il progetto. Era troppo il coinvolgimento, stavo male pensando che avrei potuto essere Fernanda, ma sono stata più fortunata".

In cosa ha avuto più fortuna? "Ho avuto una famiglia che mi ha sostenuta, ho avuto la possibilità di studiare, non ho dovuto attraversare un oceano. La lotta, per me, è stato un grande strumento di sopravvivenza. Ma di Fernanda, nella vita, ne ho conosciute tante. Si chiamavano Valeria, Sophie… tutte hanno tentato di colmare con il buco dell’eroina la voragine della solitudine. Quante ne ho perse per overdose, Aids, suicidio. Voglio rendere omaggio a tutte queste persone".

Cosa la commuove di più di questa storia?

"La sua sconfitta nella ricerca dell’amore, questa credo sia stata la sconfitta più grande. Princesa sognava il principe azzurro. Voleva prima di tutto essere una donna e poi una donna amata e socialmente inserita".

Quale messaggio riesce a veicolare lo spettacolo? Su cosa ci fa riflettere?

"Sull’umanità di ognuno di noi. Raccontando la storia di una persona che consideriamo la più lontana da noi perché straniera, migrante, transessuale, povera, prostituta, sieropositiva, condannata al carcere, impariamo a comprendere".

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