Addio a Glauco Gresleri, seppe fare convivere antico e moderno

Il decano degli architetti ha firmato la sede del seminario, il complesso Cep della Barca e la nuova piazza Minghetti

Glauco Gresleri aveva 86 anni

Glauco Gresleri aveva 86 anni

Bologna, 17 dicembre 2016 - È morto giovedì Glauco Gresleri, decano degli architetti bolognesi. Appartenente a una famiglia di architetti, Gresleri si è laureato a Firenze nel 1956 per poi formarsi al fianco dei più illustri nomi internazionali. Docente di architettura a Pescara, è stato protagonista di moltissime opere in città, per ultimo il restyling di piazza Minghetti.

Raccontava di cogliere, nella chiesa di Alvar Aalto a Riola di Vergato un «segno di energia ecumenica» e una «soluzione emblematica di inserimento nel paesaggio particolare». Di Aalto, l’architetto bolognese scomparso improvvisamente all’età di 86 anni fu seguace, così come degli altri maestri della moderna visione dell’edificare, Kenzo Tange, Le Corbusier, Quaroni, Michelucci. Il tema, dopo la laurea, fu questo per lui: come progettare all’interno di una città dove l’esigenza della conservazione incrociava, o frenava, la spinta verso il nuovo.

Gresleri ci riporta alla grande stagione dell’arte sacra di Lercaro, alle nuove Chiese, alla leggendaria rivista ‘Chiesa e Quartiere’ e a un’altra pubblicazione storica, ‘Parametro’ (e facciamo qui il nome di suo fratello, Giuliano, già docente all’Alma Mater, storico e teorico dell’architettura).

Di quella Bologna egli fu, fin da giovane un protagonista senza i capricci del ghirigoro intellettualistico o dell’apparire. Disegnò l’attuale sede del Seminario, la chiesa della Beata Vergine Immacolata di via Piero della Francesca e lavorò con Vaccaro al complesso Cep della Barca, in nome della nobiltà dell’edilizia popolare (un punto fermo, per l’amico scomparso, e tanto più illuminante se confrontato con lo strazio attuale delle case dell’Acer) e del suo pieno titolo a inserirsi in un territorio ricco di memorie artistiche. Ciò che contava, si trattasse di appartamenti in via Marconi o del complesso industriale Gandolfi a San Lazzaro, era la sfida per una Bologna da modernizzare senza tradirne le memorie.

Altri nomi famosi operavano, sotto le Due Torri, su obiettivi di tutela e di recupero del patrimonio. Gresleri, con ironia, ribatteva così: «Se continuiamo in questo modo, facendo un giro per il centro storico della Bologna attuale, vedremo la Bologna del 2150. Perché non cambia più niente».

Quando poi si trovò a replicare alle polemiche (anch’io, su questo giornale, fui tra i suoi oppositori più rudi; ma Glauco non smise mai di cercare di spiegarmi il senso della sua opera) nate dalla ristrutturazione di piazza Minghetti, ebbe parole altrettanto chiare e leali. Il nostro Marco Minghetti si sarebbe stropicciato gli occhi nel vedere finalmente i palazzi della sua piazza portati in primo piano da un’illuminazione che aggiungeva arte ai loro pregi artistici. Eccola qui l’eredità di Gresleri, far vivere insieme la Bologna dell’antico e quella delle forme dei tempi nuovi. Non ne stiamo discutendo ancora oggi?

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