"Ho donato un rene a mio marito: è salvo"

Trapianto al Sant’Orsola, il coraggio di un’insegnante di 54 anni: "La notte era sempre attaccato alla macchina per la dialisi".

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di Donatella Barbetta

"Dai, ce la facciamo". Così Sabrina Bellini, insegnante di 54 anni, ha salutato il marito prima di entrare in sala operatoria per donargli un rene. Non sono passate neppure due settimane, era il 21 agosto, e la coppia è tornata al Sant’Orsola per gli esami di controllo e ora il sogno è un veloce ritorno alla "normalità".

"Quel giorno ero molto emozionato. Il trapianto era stato rimandato quattro volte – spiega Paolo Visani, 57 anni, dipendente bancario, nato con un solo rene per una malattia genetica –, a gennaio per problemi familiari, a marzo per il Covid, a luglio perché Sabrina era stata punta da una zecca e ad agosto perché in ospedale c’erano state delle emergenze". La storia dei coniugi, residenti a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, si inserisce, infatti, nella maratona di 19 trapianti che il Policlinico ha affrontato in pochi giorni. "Se ho avuto paura? No, me lo aveva chiesto anche lo psichiatra, ma ho deciso e non sono più tornata indietro. I dolori? Sopportabili e poi solo nelle prime ore: adesso sono abbastanza in forma. Donare un rene è una scelta fatta per chi vuoi bene. Piuttosto, non riuscivo mai a completare gli esami di preparazione e ho capito che mio marito mi boicottava. E finalmente a letto non siamo più in tre", dice sorridendo la donna, componente del consiglio Avis del suo paese e iscritta all’Aido come il marito. Paolo spiega che il terzo incomodo era una macchina, "alla quale dal 2018 restavo attaccato ogni notte per fare la dialisi peritoneale attraverso un catetere nella pancia. Il mio rene da tempo non funzionava più bene. Apprezzavo il gesto di mia moglie, ma avevo paura che potesse ammalarsi per colpa mia. Avevamo scartato subito la proposta di mio figlio. Poi è stato il professor Gaetano La Manna che ha trovato le parole giuste per rassicurarmi. E da lassù – dice alzando lo sguardo al cielo – qualcuno ci ha voluto bene e ci ha fatto incontrare le persone giuste. Ringrazio tutto il personale, il chirurgo Matteo Ravaioli che ci ha operato e la dottoressa Giorgia Comai che ci ha seguito passo passo".

La Manna, direttore della Nefrologia, ammette che è "sempre il ricevente che mostra le maggiori resistenze, ma noi non proponiamo un intervento che danneggia il donatore, perché continuerà a stare bene, ma una soluzione per il malato e per tutta la famiglia. Il nostro centro, dopo il Policlinico di Padova, è il secondo in Italia per numero di trapianti di rene da vivente, abbiamo superato quota 400. Lo scorso anno ne sono stati eseguiti 121, di cui 25 da vivente".

Per Comai, "il vantaggio di questo tipo di trapianto è anche nella ripresa, già il giorno dopo vediamo tornare la creatinina, espressione della funzionalità renale, al valore normale".

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