CLAUDIO CUMANI
Cronaca

Quella città etrusca diventata "invisibile"

Il professore emerito Sassatelli presenta oggi in Salaborsa il suo libro: "A Bologna resta solo la tomba dei Giardini Margherita"

Quella città etrusca diventata "invisibile"

Quella città etrusca diventata "invisibile"

Il libro si intitola Bologna etrusca e fin qui è tutto chiaro. Ma il sottotitolo, La città invisibile, induce alla curiosità. Perché Giuseppe Sassatelli, professore emerito in Etruscologia e Archeologia italica della nostra università, ha voluto citare Italo Calvino nel suo volume su una antica civiltà che ha saputo fare di Bologna per la prima volta una vera città? Risponde lo studioso: "È un gioco. Al contrario delle città invisibili di Calvino che vivono solo nella fantasia di Marco Polo o nella fiducia del Kublai Khan, la Bologna etrusca di fatto non si vede ma è reale. O meglio la si vede nei vasi, nelle sculture e nei bronzi raccolti durante gli scavi e ora esposti al museo Archeologico". Niente di più da ammirare in giro? "L’unica testimonianza sul territorio resta la tomba dei Giardini Margherita. Il mondo etrusco riaffiora ormai soltanto dalle profondità della terra in occasione di qualche scasso profondo come è successo tempo fa in via Belle Arti". Dunque, parliamo di una civiltà lunga sette secoli (dal decimo al terzo prima di Cristo) di cui a Bologna si sono perse le tracce, contrariamente a quello che è accaduto a Marzabotto dove muri, templi e case etrusche sono rimaste in piedi. "Perché quel territorio – spiega Sassatelli che lì ha diretto per molti anni gli scavi per conto dell’Università – non è mai più stato abitato contrariamente a quello che è accaduto in questa città con l’arrivo dei Galli prima e dei Romani dopo". E dove piazze, strade e abitazioni sono andate via via stratificandosi. Sassatelli presenta il suo volume, edito da Bononia University Press, oggi alle 18 in Salaborsa, in dialogo con un altro professore emerito, lo storico Giovanni Brizzi.

Professore, dove si estendeva la Bologna etrusca?

"L’abitato partiva di fatto dalla zona delle Due Torri, dove passa l’Aposa, e arrivava all’area della attuale zona della chiesa di San Paolo in via Andrea Costa, dove scorre il Ravone. A nord il limite si trovava all’altezza di via Riva Reno, a sud a porta Saragozza. Parliamo di un’area di duecento ettari, attorno alla quale si trovavano i sepolcreti".

Come si è evoluta quella civiltà?

"Attorno al nono secolo avanti Cristo abbiamo notizie di una fase aristocratica e quasi principesca. Poi attorno al sesto secolo si comincia a respirare un’aria più democratica grazie a una classe dirigente ampia e a nuove relazioni culturali. Bologna diventa importante già da allora per due caratteristiche che l’avrebbero accompagnata nel tempo: la capacità di essere snodo commerciale e lo sviluppo dell’agricoltura attraverso bonifiche e rotazione delle culture". Con un occhio rivolto all’Europa dei Celti e l’altro al Mediterraneo grazie alle valli del Po? "È così. Bologna, dopo l’Età del Bronzo, diventa città etrusca strutturata e gerarchica e comprende l’importanza strategica della propria area. Tant’è che i Galli, al loro arrivo, non vorranno distruggere ma sostituirsi alla popolazione esistente. Non dobbiamo dimenticare che gli Etruschi hanno imparato dai Greci la scrittura e l’hanno diffusa ad altre popolazioni. Gli stessi Romani accoglieranno, rielaborandole, molte caratteristiche di quella civiltà".

Perché l’immaginario collettivo è così attratto dalle civiltà antiche?

"Illustrare aspetti di popolazioni antiche suscita interesse perché offre suggestioni politiche e culturali inimmaginabili. Penso ad esempio all’idea della morte e dell’aldilà che è stata in grado di elaborare appunto una civiltà avanzata come questa".