Vaiolo delle scimmie a Bologna: "Così l'ho riconosciuto"

Sant’Orsola, l’infermiere del Pronto soccorso che ha isolato il primo paziente: "Mi hanno colpito le vescicole sulle mani"

La microbiologia del Sant'Orsola, dove è stato sequenziato il caso

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Bologna, 29 maggio 2022 - È stato subito colpito da quelle vescicole sulle mani e ha immediatamente isolato il primo paziente contagiato dal vaiolo delle scimmie.

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Paolo Mangiapelo, 37 anni, originario di Frosinone, al Sant’Orsola dal 2010, mercoledì chiedeva ai pazienti in attesa, davanti al triage, il motivo del loro arrivo, quando si è trovato davanti all’uomo cileno.

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"Sono infermiere di processo e il mio ruolo è quello di fare da torre di controllo tra il triage e l’area medica e di valutare i codici colore che vengono attribuiti. Ho intercettato il paziente prima che venisse registrato e un po’ in inglese e un po’ in spagnolo rispondeva alle mie domande. Già prima che mi mostrasse i palmi delle mani guardavo quelle vescicole. Fino ad allora le avevo solo viste sui libri – ammette l’infermiere –, ma ho subito pensato che l’eruzione cutanea potesse essere causata dal vaiolo delle scimmie. Inoltre, aveva un leggero mal di gola e mi diceva di provenire da Madrid".

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Il sanitario in quel momento ha pensato ai numeri diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità e in particolare ai 200 casi rilevati nelle ultime settimane in Paesi in cui il virus non circola abitualmente.

"Fino a due mesi fa avrei inviato il paziente in dermatologia – sottolinea Mangiapelo –, ma adesso, con il livello di allerta aumentato tramite le dichiarazioni dell’Oms, l’ho portato subito nel box di isolamento all’interno del Pronto soccorso, evitando di lasciarlo nella sala d’attesa con le altre persone. Poi ho immediatamente informato il medico al quale il paziente è stato assegnato: così è stato visitato, sono state attivate le consulenze infettivologiche e predisposti i tamponi delle vescicole. Quando sono arrivati i risultati dalla Microbiologia e il caso di Monkeypox virus è stato confermato, il paziente è stato ricoverato. Ma a quel punto io avevo già terminato il mio turno".

L’infermiere precisa anche che "con il Covid tutti noi ci siamo abituati a pensare subito alle malattie infettive, diversamente da quanto accadeva qualche anno fa".

Paolo ama il proprio lavoro. "Ho studiato alla Sapienza di Roma, poi ho conseguito un master in coordinamento sanitario all’università di Siena e ho seguito vari corsi sull’emergenza fino a quando nel 2010 ho vinto un concorso pubblico – ricorda – e sono stato assunto al Sant’Orsola: prima ho lavorato in medicina e in cardiochirurgia, ma il mio sogno era entrare a far parte dell’emergenza e alla fine ce l’ho fatta. Tanti lasciano il Pronto soccorso? Lo so – risponde l’infermiere – forse alcuni non reggono i ritmi o non sono portati per questa attività. E se non sono soddisfatti è giusto che cambino, qui c’è bisogno di gente motivata che sappia alleggerire la situazione in cui si trovano i pazienti: a volte è sufficiente saper ascoltare e regalare un sorriso".

 

 

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