Pupi Avati: "Lucio Dalla mi ha mostrato il talento"

Il grande regista a Bologna per la ’Strada del jazz’ in un Memorial per Dalla, tra musica e ricordi

Pupi Avati e Matteo Lepore

Pupi Avati e Matteo Lepore

Tra Béla Bartók e Miles Davis, più vicino al Dante giovane ritratto in uno scenario ’post mortem’ attraverso gli occhi di Boccaccio che al torbido ’Il signor Diavolo’, Pupi Avati irrompe con intenti casti sulla Strada del Jazz Memorial Lucio Dalla per celebrare il rivale che lo scalzò dal ruolo di primo clarinetto della Dr. Dixie Jazz Band. Il grande regista presente anche oggi (bissando la presenza a sorpresa di ieri) sul palco in Piazza Maggiore, con il presidente della Regione Stefano Bonaccini, insieme al gruppo Gli Amici di Lucio.

Maestro Avati, come nel caso di Salieri per Mozart, la storia della musica non è priva degli omaggi contriti di chi rimane in vita per il rivale che non c’è più. Oggi tocca a lei e a… Dalla.

"In un vortice di emozioni. Lucio mi ha indicato che cos’è il talento, il Memorial gli calza a pennello perché è stato un musicista di inventiva speciale, imprevedibile e avvolgente".

Ha rinfoderato il clarinetto e imbracciato la cinepresa perché ne sentiva la presenza ingombrante?

"Soffrendo ho fatto una scelta per un confronto che mi affascina tra talento e ambizione. Il modo in cui Lucio illuminò la nostra piccola orchestra mi ha fatto capire che mi sarei dovuto rimettere in cammino".

La Strada del Jazz è la scorciatoia giusta per ravvivare l’orgoglio di una città che si è sentita la capitale europea dei suoni afro-americani?

"È un pretesto per non dimenticare che viveva di primati speciali. Al Disclub in via Caprarie di Alberto Alberti (che con Cicci Foresti s’inventò il primo grande festival), c’erano dischi che non avresti trovato da nessuna altra parte".

Jazz e Bologna, un intreccio che sa di mistero.

"Un mistero a cui però le orchestre da ballo, che suonavano le melodie italiane attraverso un sincopato jazzistico, erano predisposte. Come Henghel Gualdi che il jazz l’ha ascoltato alla radio in un paesino della Bassa, non possedeva dischi e conosceva solo un po’ Benny Goodman".

Il ’nemo profeta’ per Pupi non vale?

"È la storia d’amore complessa di un regista che aveva fatto musica senza risultati: Bologna era la città in cui i miei film andavano peggio. Poi arrivarono le ingiallite cartoline di famiglia incastonate nell’Emilia che fu, ma anche ’Jazz Band’ e ’Bix’. E si sono ricreduti".

Musica e Settima arte ora dove le ha stipate?

"Nell’autobiografica ’Alta Fantasia’: di fronte a un bivio avrei preferito la prima".

Come si vive senza swing?

"Rispondo con una battuta di Alberto: ’se non ce l’hai sei fregato’. Il mio clarinetto lo conservo a un palmo dalla scrivania".

Del suo ultimo film ’Dante’ che cosa va sottolineato?

"Quello che Corrado Augias mi disse dopo l’anteprima: ’Finalmente non mi è più antipatico’".