Morto il vescovo emerito Garavaglia

Aveva 92 anni, guidò la chiesa locale dal 1991 al 2004. Lombardo, scelse di restare in città a servire la diocesi

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Dopo essere stato vescovo della diocesi di Cesena-Sarsina per tredici anni, monsignor Lino Garavaglia, frate cappuccino nato a Mesero in provincia di Milano, decise nel 2004 di prender casa Cesena, in un appartamento in via Cavallotti, scegliendo la nostra città come ultimo approdo, piuttosto che tornare in Lombardia. E nella Cesena, divenuta sempre più sua nei successivi sedici anni zelanti e appartati, il vescovo emerito Garavaglia ha chiuso per sempre gli occhi ieri nella casa di riposo ‘Don Baronio’, dove era accolto da qualche tempo. Avvrebbe compiuto 93 anni il 9 settembre. Il funerale verrà celebrato martedì alle 10 in piazza della Libertà e la salma verrà tumulata nella tomba di famiglia, nel paese natale lombardo Lino Garavaglia, al secolo Esterino, entrò nell’ordine dei frati minori Cappuccini nel 1945 e venne ordinato sacerdote in Duomo,a Milano, nel 1954

Per i Cappuccini fu segretario nazionale delle missioni estere Dopo essere stato vescovo coadiutore di Tivoli, nel marzo del 1991 papa Giovanni Paolo II lo nominò vescovo di Cesena-Sarsina, successore di Luigi Amaducci divenuto arcivescovo di Ravenna-Cervia. Fece il suo ingresso in diocesi il 5 maggio. Durante il mandato mise mano a una nuova riorganizzazione territoriale fondata sulle unità pastorali, ordinò 17 sacerdoti e vergò un centinaio di documenti. II passaggio di pastorale col successore Antonio Lanfranchi avvenne sotto la neve, il 25 gennaio 2004. Di Cesena e Sarsina è divenuto cittadino onorario.

Non solo l’elevata taglia pastorale, ma anche il tratto umano inconfondibile di Garavaglia sono noti e cari a chi sa bene come il frate lombardo romagnolizzato abbia agito in spirito di umiltà e servizio i non brevi ultimi anni da vescovo emerito: sempre disponibile per le celebrazioni liturgiche nelle parrocchie di campagna, per la benedizioni degli animali alla festa di Sant’Antonio e per ogni evenienza pastorale. Si doleva che i preti fossero ‘contati’, e non si risparmiava.

Era un camminatore della città, fin che ha potuto. Il suo tragitto preferito era costeggiare teatro e Duomo per approdare alla piazza del Popolo. Andava fiero che il vecchio sindaco Conti lo chiamasse ‘l’amico Lino’ e alla domanda se si sentisse più frate o vescovo, scavalcando gli occhiali con i suoi begli occhi chiari, ci rispose: "Sono un frate che ama il saio e non avrebbe mai pensato di diventare vescovo, ma sono felice di esserlo stato".