Bonaccini, Schlein e l’ultima chiamata per il Pd

Ciò che era nell’aria da mesi adesso è realtà: Stefano Bonaccini è candidato alla segreteria nazionale del Pd. La sfida che si trova davanti il presidente dell’Emilia-Romagna è a suo modo storica. Per resuscitare ciò che resta del fu ‘partitone’ e, ipse dixit, “tornare al governo vincendo le elezioni”, dovrà giocare su due piani: ridurre o addirittura azzerare il ruolo delle correnti, la vera zavorra che ha azzoppato ogni segretario dem dalla fondazione del partito a oggi, e riuscire, come ama dire lui stesso, a far capire le posizioni del Pd, e le sue politiche, anche alla gente che va al bar. Sulla sua strada, con ogni probabilità, si troverà davanti la sua ex vice in viale Aldo Moro, la neo-deputata Elly Schlein, della cui candidatura, che tutti danno per sicura, si aspetta solo l’ufficialità. All’orizzonte si profila una sfida tra due modelli di partito (e due linee politiche) ben distinti tra di loro: più movimentista, liquido e radicale quello di Schlein; più istituzionale, tradizionalista (almeno dal punto di vista dell’organizzazione) e aperto ad alleanze larghe, dal centro alla sinistra, quello di Bonaccini. Chiusi i gazebo delle primarie, la prova successiva sarà quella di tenere insieme queste due visioni, evitando sanguinose scissioni o impronosticabili guerre interne. Ultima, non marginale, annotazione: salvo candidature davvero inattese dell’ultimo minuto, toccherà a un emiliano-romagnolo provare a salvare il Pd dal baratro. Una piccola rivincita sulla storia e su quel veto a firma Togliatti - che qualcuno ha provato a rispolverare nelle scorse settimane – secondo cui chi viene da queste terre deve accontentarsi di amministrare, lasciando la politica (nazionale) a gente più preparata. Un veto durato da sempre e che solo la segreteria di Bersani era riuscita a infrangere. Ma nell'ora più buia per il Pd sarà compito proprio di chi viene dalla via Emilia salvare ciò che resta del principale partito del centrosinistra.