L'ultima alluvione, che ha colpito brutalmente non solo Bologna, ma anche la Romagna, da Ravenna a Cesenatico, ha nuovamente riportato sotto i riflettori il caso irrisolto della fragilità del territorio. Ma ha anche lanciato un messaggio preciso: nessuno è più al sicuro. A Bologna, le strade sono diventati fiumi in piena nei posti più impensabili, caricati da piogge eccezionali che in poche ore hanno flagellato la città. Chi pensava che le alluvioni fossero qualcosa di distante, di altro, si sbagliava. Vero, l'emergenza è tornata dove c'è sempre stata (poniamoci comunque la domanda: ma in tutto questo tempo tra una bomba d'acqua e l'altra cosa è stato fatto?), ma si è presentata improvvisa e becera dove non c'era mai stata. Sottopassi allagati, cantine piene d'acqua, quartieri evacuati, alberi caduti sulle strade: chi più ne ha più ne metta. E il terrore e la paura hanno investito per ore il capoluogo dell'Emilia-Romagna, dal centro alla periferia. Come sempre, da chi amministra, arrivano le richieste d'aiuto, come se nessuno fosse stato in quel posto prima d'ora. Irene Priolo, presidente facente funzioni in Emilia-Romagna, ha detto: 'Non bastano più le regole e la gestione ordinaria per eventi così importanti, è necessario mettere in campo un piano straordinario di prevenzione, di difesa del suolo all'interno di un piano nazionale. Le Regioni da sole non bastano più. Dico che serve un piano Marshall'. Certo, ha ragione, ci mancherebbe. Ma verrebbe da dire: in tutti questi anni si è pensato al territorio? A tenere puliti e sistemati fiumi e canali? A valutare che forse prima o poi sarebbe arrivata un'emergenza? E dopo la prima alluvione si è fatto tutto il possibile? Non è una questione di colori, di destra o sinistra (come non si stanca di dire chi è impegnato nella campagna elettorale per le Regionali) è una questione di capacità (politiche e amministrative) e di risorse. Che qui mancano, drasticamente. I fatti lo dimostrano. Sulla pelle dei cittadini.
EditorialeNessuno è al sicuro