
Quando non erano al lavoro nei campi, i braccianti erano costretti a dimorare in abitazioni fatiscenti
Per fornire manodopera a basso costo alle aziende agricole, ’arruolava’ connazionali in evidente stato di bisogno per poi farli lavorare con orari disumani e salari irrisori dei quali prendeva anche una percentuale. Per questo motivo un imprenditore 40enne pakistano residente a Fermo è finito alla sbarra e, a conclusione del processo, è stato condannato a tre anni e otto mesi di reclusione per estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Il fenomeno era stato scoperto dai militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Ancona, coordinati dalla Procura della Repubblica di Fermo, con un’articolata indagine di polizia giudiziaria denominata ’Country Workers’, che aveva consentito di stroncare un radicato fenomeno di caporalato, che aveva visto coinvolti oltre 50 lavoratori e una decina di aziende agricole operanti soprattutto nel Fermano. In particolare, le complesse indagini eseguite dai finanzieri del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Ancona, scaturite dall’esame di movimentazioni bancarie sospette, avevano permesso di risalire alle responsabilità dell’imprenditore pakistano.
Quest’ultimo, al fine di fornire manodopera a basso costo alle imprese agricole coinvolte, ’arruolava’ connazionali in evidente stato di bisogno, poiché irregolari sul territorio nazionale, oppure, se regolari, con la necessità di lavorare per garantirsi i mezzi necessari, sia per rinnovare o ottenere il permesso di soggiorno che per mantenere i propri familiari. Le vittime del caporalato venivano poi destinate al lavoro presso terreni agricoli di terzi, in condizioni di sfruttamento. Secondo la ricostruzione investigativa, i lavoratori venivano sottoposti a turni massacranti, senza interruzioni e fruizioni di pausa pranzo, riposi festivi e settimanali, dietro l’erogazione di un compenso - in gran parte dei casi corrisposto ’in nero’ per occultare gli effettivi orari di servizio - ben al di sotto del salario minimo previsto dal contratto nazionale di categoria. Tra l’altro, il ’caporale’ pretendeva da ogni operaio una quota giornaliera di 5 euro per le spese di trasporto e di consumo del carburante e, quando non erano al lavoro nei campi, i braccianti erano costretti a dimorare in abitazioni fatiscenti. All’esito delle indagini, la Procura della Repubblica di Fermo, condividendo le prospettazioni formulate dalle Fiamme Gialle doriche, aveva richiesto e ottenuto nei confronti dell’imprenditore pakistano un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che era stata eseguita dai militari del Gico.
Fabio Castori