Ventiquattro ore ancora. Niente rispetto a trentacinque anni di attesa, di dolore, di bugie e di processi solo sperati e mai arrivati davanti a una Corte, la sola che può giudicare un omicidio volontario. Oggi è il giorno del verdetto sulla morte di Donato Denis Borgamini, il calciatore di Boccaleone, ucciso il 18 novembre del 1989 a Roseto Capo Spulico, in provincia di Cosenza, dove qualche decina di minuti dopo le 19 fu trovato il suo corpo disteso sull’asfalto piovigginoso. Davanti a un camion arancione che trasportava mandarini.
Il processo. Oggi la Corte di Assise di Cosenza, presieduta dal giudice Paola Lucente, dopo una camera di consiglio che immaginiamo lunga, dirà se a uccidere il calciatore argentano è stata anche la sua ex fidanzata di allora, Isabella Internò. A processo per omicidio premeditato in concorso con ignoti. Ieri il suo legale Angelo Pugliese, al termine di una lunghissima e a tratti melodrammatica arringa ha chiesto che la sua assistita, seduta accanto a lui, con la quale ha spesso in modo scenico interloquito per sostenere le sue tesi, venga assolta "perchè il fatto non sussiste – ha ribadito più volte con voce elevata Pugliese – a meno che non vogliamo tornare a 500 anni fa, al tempo delle streghe mandate al rogo. E ora serve la strega Internò per trovare la colpevole di un omicidio che non c’è stato: Bergamini si è suicidato quella sera, probabilmente perché non sapeva come fare a uscire da un brutto giro in cui era entrato per colpa del collega Padovano (Michele, ndr) che lo aveva portato su una cattiva strada. E lui, persona per bene e che amava il calcio più di ogni altra cosa, ha temuto per la sua carriera. Internò è l’unica che gli ha voluto bene e che ha cercato di allontanarlo da Padovano". Riprenderà da qui questa mattina l’ultima tornata del processo iniziato tre anni fa e che ha contato più di sessanta udienza: procura (che ha chiesto la condanna dell’imputata a 23 anni di reclusione), accusata di "connivenza" dalla difesa, e parte civile (avvocati Fabio Anselmo e Silvia Galeone, ndr) dovranno decidere se replicare con il rischio di allungare i tempi della sentenza. Oggi per assistere al verdetto sono attesi in aula anche Gigi Simoni e lo stesso Michele Padovano, nonché i tre nipoti di Denis, figli della sorella Donata, lei che invece è a Cosenza da quindici giorni ormai, per seguire le fasi finali del processo.
L’atmosfera. L’aula della Corte di assise del palazzo di giustizia ieri era gremita "come non mai" si sentiva sussurrare a più riprese. Non si parla del processo Bergamini in città...ma c’è. Si sente il peso di una sentenza che riguarda colui che è stato l’idolo degli ultras del Cosenza. Lo stesso avvocato Pugliese ieri, legale dell’imputata, lo ha ribadito: "Era il più amato all’epoca, per la sua vigoria, la sua voglia e determinazione". Rendergli giustizia è un dovere della città tutta. Ma non se ne parla. Ci sono però tracce indelebili nel cuore dei tifosi. E dove è stato trovato morto. Lungo la strada statale Jonica, all’epoca una strada a corsia unica, che si vedeva da una parte all’altra, oggi diventata a doppia corsia con il nome trasformato in E90. Poco importa. Quella fetta di Statale sarà sempre la Jonica, che si affaccia sul mar Jonio, poco dopo il bel castello di Roseto Capo Spulico dove è morto Denis Bergamini. Può cambiare il percorso, più moderno e adatto a 35 anni dopo, ma niente potrà cancellare che cosa provi quando sei davanti al quel cippo e ti immagini, facendo un balzo indietro di decenni, il calciatore che esce dall’auto e percorre quella strada fino a dove troverà la morte, qualche centinaio di metri più avanti. E quel corpo disteso sull’asfalto davanti al camion Inveco di colore arancione. Un cartello a fianco al cippo più grande, nella piazzola recita "Rispetta Donato e il luogo a lui dedicato, Bergamini mai dimenticato". E il rispetto non viene chiesto solo ai cialtroni che gettano rifiuti, purtroppo, ma anche a tutti coloro che sanno la verità su quel maledetto sabato di novembre. Il rispetto a Bergamini passa prima di tutto dal rendergli giustizia. Dopo trentacinque anni è giunto il momento.