CRISTINA RUFINI
Cronaca

Il calciatore che fu suicidato. Delitto d’onore e messinscena. Oggi il verdetto dopo 35 anni

Sul banco degli imputati la ex, ritenuta dalla procura la mandante dell’omicidio del ferrarese. Sulla Statale Jonica i cippi di chi non ha dimenticato: la famiglia e i tifosi del Cosenza.

Il calciatore che fu suicidato. Delitto d’onore e messinscena. Oggi il verdetto dopo 35 anni

Sul banco degli imputati la ex, ritenuta dalla procura la mandante dell’omicidio del ferrarese. Sulla Statale Jonica i cippi di chi non ha dimenticato: la famiglia e i tifosi del Cosenza.

dall’inviata

Il camion arancione pieno di mandarini, quel corpo disteso davanti, sull’asfalto bagnato di una sera di novembre. Immobile, a malapena nascosto da una coperta. E il cippo che dopo qualche anno è stato costruito a futura, perenne, memoria di Donato Denis Bergamini, il calciatore del Cosenza, originario di Argenta, in provincia di Ferrara, ucciso il 18 novembre 1989 e trovato morto lungo la Statale Jonica, la 106 che corre lungo la costa calabrese del mar Jonio. Sono i ’simboli’ visivi della tragedia che ha messo fine alla vita dell’idolo dei tifosi del Cosenza calcio, proiettato verso la serie A (interessamenti all’epoca di Parma e Fiorentina). La Statale oggi non è più quella strada a corsia unica, nei due sensi di marcia, che abbiamo visto sparata in tutti i tiggì dell’epoca. Oggi è assurta a E90, a doppia corsia per senso di marcia, barriera divisoria in cemento e con importanti lavori ancora in corso, e in parte chiusa al traffico.

Anche il tratto dove si trovano i due cippi in memoria di Denis è imprigionato da reti e cancello. Per poterli vedere e ’immaginare’ che cosa possa essere accaduto in quei luoghi trentacinque anni prima, devi entrare in un cantiere chiuso, di domenica. Lo fai. E ripercorri a piedi la distanza tra i due cippi: gli ultimi minuti di vita di Bergamini. Distanza da quello più noto, con il numero 8 della maglia che indossava con il Cosenza, nella piazzola dove il calciatore aveva parcheggiato la Maserati bianca, con dentro la ex fidanzata Isabella Internò, a quello più piccolo, seminascosto dai cespugli della macchia mediterranea. Voluto dai tifosi nei pressi di dove fu trovato il corpo senza vita, qualche centinaio di metri più a nord.

L’ultimo tratto di vita di Bergamini. Forse. Perché il processo aperto tre anni fa nei confronti di Isabella Internò, per omicidio premeditato in concorso con ignoti, racconta un’altra verità, che probabilmente su quell’asfalto il calciatore non ci si è "buttato a tuffo", ma c’è stato sistemato già morto, in attesa che un qualsiasi veicolo "lo suicidasse". Vicino al cippo più grande, nella piazzola, c’è un cartello che recita "Rispetta Donato e il luogo a lui dedicato. Bergamini mai dimenticato". E’ certo un monito a non gettare rifiuti attorno al cippo, che purtroppo ci sono, ma a Donato ora va portato un rispetto più grande: Giustizia. Dopo 35 anni è giunto il momento.

Il processo. E oggi quella Giustizia potrebbe compiersi. Quantomeno oggi (salvo imprevisti purtroppo sempre possibili in questi casi) la Corte di Assise di Cosenza emetterà il verdetto nei confronti di Isabella Internò. Dopo tre anni e più di sessanta udienze siamo giunti a dover far calare il sipario sul processo di primo grado. A 35 anni dalla morte del calciatore e dopo due procedimenti archiviati, l’ultimo nel 2015. Il procuratore capo Alessandro D’Alessio, insieme al pm Luca Primicerio, ha chiesto la condanna dell’imputata a 23 anni di reclusione riconoscendola mandante di un "delitto d’onore". "Il reato meriterebbe l’ergastolo – ha sottolineato D’Alessio – ma sono trascorsi 35 anni e l’imputata può essere una persona diversa". Non lo è per la famiglia Bergamini, per la sorella di Denis, Donata, per i suoi legali, Fabio Anselmo, Alessandra Pisa e Silvia Galeone. "Non è cambiata – ha sottolineato Donata – è stata zitta allora ed è rimasta zitta oggi. Mi aspetto Giustizia e il massimo della pena". Ne ha invece chiesto l’assoluzione il suo legale, Angelo Pugliese. Ieri in un’aula di Assise "mai piena come oggi", si sentiva sussurrare, l’avvocato ha condotto un’arringa a tratti melodrammatica e a tratti accusatoria "la procura ha voluto questo processo inutile – ha dichiarato – per incapacità o connivenza?". E poi ancora nei confronti dell’ex calciatore Michele Padovano, all’epoca collega e compagno di stanza di Bergamini "colui che l’ha portato sulla cattiva strada – ha chiosato Pugliese – e per questo Bergamini temendo per la sua carriera si è tolto la vita. Oggi quindi non potete condannare Internò che è l’unica che gli ha voluto veramente bene e che ha cercato di allontanarlo da Padovano". Paventando, inoltre, che la famiglia Bergamini avrebbe voluto a tutti i costi il processo per omicidio, per "un interesse economico". "Non possiamo tornare indietro a 500 anni fa – ha concluso – quando si mandavano al rogo le streghe. E oggi vogliamo la strega Internò". Si torna in aula questa mattina, per eventuali controrepliche e la sentenza.