L’omicidio di Lido di Spina, una pineta e l’uomo mascherato

I gialli irrisolti. Lo studente modello freddato mentre era in auto con la fidanzata

Il delitto di Lido di Spina nei giornali dell’epoca

Il delitto di Lido di Spina nei giornali dell’epoca

Lido di Spina (Ferrara), 9 dicembre 2015 - C’è una lapide nascosta nel cuore della pineta di Lido di Spina. Recita: "Qui una assurda mano assassina ha stroncato la vita di Nicola Bonetti". Poco più sotto si legge la data: 28 giugno 1980. Trentacinque anni sono trascorsi dall’omicidio del ventiduenne ferrarese iscritto al terzo anno di Medicina. Trentacinque anni di buio pesto che ancora oggi gridano verità. Mancano i nomi degli assassini, manca il movente, manca quella parola, giustizia, che allevierebbe l’enorme sofferenza che ha portato in grembo la sua famiglia fino ad oggi.

LA PINETA. Ventotto giugno, l’estate ha appena varcato la soglia, le spiagge dei lidi ferraresi hanno cominciato ad affollarsi sempre di più. Nicola Bonetti è un ragazzo di appena 22 anni, studia Medicina con risultati eccellenti, «aveva tutti 30 e lode», ricordano gli amici. Non ha grilli per la testa, la madre Lia lo descriverà come un «figlio d’oro», nemico «della violenza, della droga, non impegnato politicamente». Da qualche tempo è fidanzato con Laura Covini, 18 anni originaria di Sanremo e sorella minore dell’allora segretario del Partito Liberale della località ligure.

Un legame solido, diranno i genitori Antonino e Lia Bonetti, che avrebbe raggiunto l’apice con il matrimonio. Quella sera i due vogliono festeggiare l’ultimo esame brillantemente passato da Nicola, così salgono sulla Citroen Dyane del ragazzo per dirigersi verso il litorale. Ferrara-Lido di Spina, 50 minuti esatti. Bevono qualcosa, cenano per poi appartarsi tra le dune che lambiscono la spiaggia libera.

DUE SPARI. L’auto si ferma, qualcuno intanto osserva gli occupanti. Le 23. Laura, unica testimone della tragedia, racconta di aver visto avvicinarsi un uomo mascherato con un’arma e ordinare al fidanzato di aprire la portiera. Nicola accende l’auto, ingrana la retromarcia ma in quel momento un rumore fortissimo squarcia il silenzio di quella zona tanto cara alle coppiette.

«Pensavo – dirà lei – ad un oggetto scagliato contro il finestrino». Ma quell’oggetto altro non è che un proiettile – seguito da un secondo – che sfonda il vetro per poi conficcarsi nella scapola sinistra del ventiduenne. I primi ad accorrere in aiuto sono tre operai comacchiesi che si trovavano non distanti. Il cuore di Nicola batte ancora, viene accompagnato alla luce in attesa dei sanitari ma alla fine tutto sarà inutile.

L’INDAGINE. Pochi elementi, nessun movente, unica testimone è la ragazza: da qui partono Procura e carabinieri. Si batte la strada della rapina finita male, si dà la caccia ad un uomo mascherato fuggito in sella di un vespino, si cercano i bossoli. Tutto inutile.

La svolta arriva nel 1981 quando una prima perizia balistica dirà che i due proiettili sarebbero partiti da una Walter Ppk, e uno dei tre possessori in tutta l’Emilia Romagna è un commerciante ferrarese. Ma l’inchiesta non verterà solamente su di lui, presto nel calderone finiranno anche tre comacchiesi, con accuse di vario titolo. Davanti al giudice istruttore, per reticenza, vi finirà infine pure la fidanzata di Bonetti. Per tutti e cinque, però, arriverà l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

IL SOGNO. Fine della storia: nel 1990 l’inchiesta finisce negli archivi del tribunale di Ferrara con una sentenza di non luogo a procedere per tutti gli imputati. Chi ha ucciso, allora, Nicola? E perché? Negli anni si tentò anche la strada di un possibile scambio di persona in quanto l’auto del ragazzo era molto simile a quella di un carabiniere al quale, pochi giorni prima, vennero tagliate le gomme.

Qualche tempo dopo la tragedia, la madre raccontò di un sogno fatto dal ragazzo la notte del 27 giugno, il giorno prima di essere ucciso: «Disse di aver sognato una lotta e che avrebbe ucciso un essere mostruoso. Poi non volle riferire il seguito perché era ancora più brutto». Prima del suo ultimo viaggio verso Spina, Nicola lasciò un biglietto gioioso sul tavolo della cucina con scritto: «Papà, 30 e lode». Poi il buio.