“Terremoti non collegati al disastro del 2012 in Emilia”: l’analisi dell’esperta

Emanuela Ercolani, della sede di Bologna dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia: “L’Appennino è una catena montuosa giovane e dunque ancora in movimento”

Imola, 27 agosto 2024 – La terra trema, anzi continua a tremare in Vallata. La scossa di magnitudo 3.9 che ha buttato giù nella notte fra domenica e ieri buona parte degli abitanti della Vallata è stata sentita fino a Imola. L’epicentro era 3 km a sud-est di Castel del Rio, a una profondita di 19 km. È stata la più intensa di una serie di 8 scosse con magnitudo superiore a 2 che si sono registrate da sabato a ieri pomeriggio, per lo più impercettibili o lievi. Non è una novità, scosse di lieve entità si registrano frequentemente nell’Appennino e gli ultimi tremori a Castel del Rio – anche in quel caso pressoché impercettibili – si erano registrati lo scorso marzo. Scorrendo la lunga lista di sismi registrati dall’Istituto nazionale di geologia e vulcanologia, l’area, allargando lo sguardo alle zone del Mugello e di Casola Valsenio, appare continuamente interessata da terremoti di lieve entità. La scorsa più forte nell’Appennino è avvenuta lo scorso 18 settembre, a Marradi, quando un sisma di magnitudo 4,9 aveva causato danni a diverse decine di edifici nella località toscana, ma molto legata alla Romagna.

Un tecnico del Comune di Castel del Rio. Non si sono registrati danni. Nel riquadro Emanuela Ercolani
Un tecnico del Comune di Castel del Rio. Non si sono registrati danni. Nel riquadro Emanuela Ercolani

Il terremoto che ha colpito all’1.45 di ieri la Vallata del Santerno, con epicentro a tre chilometri da Castel del Rio, è solo l’ultimo di una ormai corposa serie di sismi che a partire dallo scorso settembre hanno tempestato l’Appennino tosco-romagnolo, posto in una porzione di Italia in cui, fino a poco tempo fa, erano concentrate molte delle procedure d’emergenza attivate dal governo a causa di un sisma: quella relativa al terremoto del novembre 2023 e quelle dedicate ai sismi che colpirono Umbertide nel marzo del ‘23 e l’anconetano nel novembre del ‘22. "Eppure non è corretto considerare questa porzione di Appennino nel centro-nord come una zona più ‘calda’ delle altre", spiega Emanuela Ercolani, responsabile dell’unità funzionale delle attività per la società e il territorio alla sede bolognese dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. "Stando alle mappe di pericolosità vigenti per il territorio italiano, nessun comune può dirsi esente dall’essere parte di un’area sismica: anche la Sardegna è una zona sismica, contrariamente a quanto molti credono".

Dottoressa Ercolani, è corretto parlare di sciame sismico per questa serie di eventi?

"In generale no: quando la sequenza è in atto non si può dire con chiarezza se i singoli terremoti facciano parte di un unico grande evento. Questo e il sisma del novembre 2023 sono però certamente fenomeni diversi, benché legati entrambi ai moti dell’Appennino, una catena montuosa più giovane rispetto ad altre analoghe, e dunque ancora in movimento".

Quale forza oscura preme al di sotto dell’Appennino?

"Sussistono vari movimenti: c’è innanzitutto quello delle grandi placche tettoniche – nello specifico quello della placca africana che preme verso nord – a loro volta suddivise e frammentate in varie placche minori. Non abbiamo una conoscenza completa di tutti i sistemi di faglia, ma possediamo delle certezze: i recenti terremoti non sono connessi al sisma che colpì l’Emilia nel 2012, legato a un altro sistema di faglie, oltre che trecento volte più potente dei sismi di magnitudo 4 recentemente registrati".

Il fatto che i terremoti siano frequenti deve rassicurarci? Un sisma sarebbe più distruttivo se a generarlo fosse energia accumulata a lungo tra le faglie?

"È più corretto tenere a mente che le faglie che solcano il territorio italiano non hanno la capacità di resistere per migliaia di anni alle tensioni cui sono sottoposte: è come se si mettessero in movimento prima proprio perché molto fratturate. Per questo motivo sento di poter dire che in Italia non registreremo mai un terremoto di 9 gradi Richter come accaduto in Cile negli anni ‘60, proprio perché la Cintura del Pacifico ha dinamiche completamente diverse rispetto a quelle italiane. Teniamo conto che la differenza fra un terremoto di quella portata e uno di 5.8 gradi Richter (nell’ordine dei sismi dell’Aquila o di Amatrice, ndr) è energeticamente immensa".

Recenti studi – firmati da ricercatori dell’Università di Parma – sembrano aver compiuto un primo passo nella direzione della previsione dei terremoti. Arriveremo a sapere quando e dove una scossa si manifesterà?

"Arrivare a un sistema di previsione è l’oggetto degli studi di tanti ricercatori. Se avessimo dati gps che fotografano una zona del mondo per migliaia di anni potremmo sapere se lì si sta accumulando una compressione tale da poter scatenare un sisma, ma ovviamente non disponiamo di quei dati. Dei passi in direzione della previsione dei terremoti sono auspicabili: la priorità sarà sempre salvare le vite umane. L’Italia non sorge sulla Cintura del Pacifico, ma è un paese architettonicamente più antico, e più fragile, rispetto alla Nuova Zelanda. Molto è stato fatto per mettere in sicurezza il nostro patrimonio edilizio – in particolare quello più strategico, come le infrastrutture o gli ospedali – ma i terremoti continueranno realisticamente a causare danni agli edifici".