L’incrocio di linguaggi artistici: "Una madre terra da difendere contro gli eccessi tecnologici"

L’attrice Ermanna Montanari parla dello spettacolo in scena da martedì al Teatro delle Passioni "Insieme al disegnatore Stefano Ricci e al musicista Daniele Roccato, la nostra invocazione".

L’incrocio di linguaggi artistici: "Una madre terra da difendere contro gli eccessi tecnologici"

L’incrocio di linguaggi artistici: "Una madre terra da difendere contro gli eccessi tecnologici"

‘Madre’, in scena da martedì a domenica al Nuovo Teatro delle Passioni a Modena, mette insieme tre protagonisti del panorama artistico italiano che hanno voluto creare insieme uno spettacolo di parola, musica e illustrazione: l’attrice e autrice Ermanna Montanari, il disegnatore e pittore Stefano Ricci e il contrabbassista e compositore Daniele Roccato.

A partire dal ‘poemetto’ (come loro lo chiamano, ndr) scritto dal drammaturgo e regista Marco Martinelli, i tre artisti intrecciano sul palco i loro inconfondibili linguaggi artistici, come spiega Ermanna Montanari.

Ermanna, come è nato questo spettacolo?

"Io, Stefano e Daniele sentivamo il desiderio di realizzare insieme uno spettacolo. Ci siamo trovati per lavorare sul ‘Traumtext’ di Heiner Müller, poi però è arrivato il Covid e ci siamo fermati, perché il tema trattato, con un finale di una morte certa, era troppo vicino a quello che stava accadendo intorno a noi. Noi volevamo invece un germoglio di luce. Così abbiamo contattato Marco Martinelli, che ha scritto questo ‘poemetto’ che rispecchia ciò che volevamo. Ci ha messo solo in una settimana: evidentemente anche lui era pronto".

‘Madre’, il titolo della spettacolo: chi è la madre?

"Vengono narrate le vicende di un figlio e di una madre contadina. Lei è caduta in un pozzo, non è chiaro se per disattenzione, per scelta, o se l’abbia spinta il figlio. ‘Madre’ ha tantissime sfaccettature: la donna caduta o spinta nel pozzo, ma anche la madre terra, violata, della quale non abbiamo più cura. ‘Ti avevo detto di non segare il melograno’, rimprovera la madre al figlio. E’ un’invocazione della donna al figlio che cerca di salvarla ricorrendo alla tecnologia. Ognuno si porta a casa un significato diverso a seconda di come interpreta lo spettacolo".

Com’è strutturata la pièce?

"In forma di dittico, e si compone di due monologhi, tanto che i due personaggi (che interpreto sempre io) non dialogano mai direttamente fra loro: l’uno è il discorso del figlio, che sgrida la madre e va alla ricerca degli strumenti utili per tirarla fuori; l’altro di lei che, dal fondo di un pozzo che pare infinito, confessa di non avere paura e di non sentirsi a disagio laggiù. Si viene così a creare un paesaggio desolato, in cui emerge l’allegoria di una Madre Terra sempre più avvelenata e l’incubo di una ‘tecnologia’, quella che il figlio userà per tirare fuori la donna, che anziché aiutare con discrezione l’umanità, si pone come arrogante e distruttrice, capace di devastare equilibri millenari. Nell’intarsio del testo, tra italiano e dialetto romagnolo, emergono due figure in bilico tra la realtà cruda dei nostri giorni e i simboli di un futuro minaccioso e indecifrabile: sembrano emblemi di una fiaba orientale".