Comandante trasferito dopo le accuse del pentito

Il maggiore ’sassolese’ dei carabinieri Camillo Meo indagato a Latina. I pm: "A conoscenza di passaggi di droga". L’avvocato: "Totalmente falso"

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Spunta il nome del comandante della compagnia di Sassuolo, il maggiore Camillo Meo, nell’indagine della procura di Latina che ipotizza un sistema attraverso il quale nella caserma della città laziale si ricompensava Maurizio Zuppardo, un confidente dei carabinieri, ora pentito, fornendogli cocaina. Non solo: a un certo punto, proprio secondo il collaboratore di giustizia, l’obiettivo dei militari sarebbe diventato quello di fare più arresti così da aumentare i sequestri di droga, per poi spartirsi i proventi dello spaccio. Sono undici le persone indagate, tra cui nove carabinieri (tre ufficiali): sono stati formulati 35 capi d’accusa tra i quali abuso d’ufficio, corruzione, concussione, furto, spaccio. La ricostruzione è completamente respinta dai legali del comandante, il quale, nell’ipotesi accusatoria, sarebbe stato a conoscenza del giro criminoso, ma non avrebbe denunciato. Al maggiore Meo, attualmente ‘in ferie’ – in passato in forze alla caserma Cimmarusti di Latina e dal settembre 2019 a Sassuolo dopo essere stato sei anni ad Anagni – l’Arma, in via cautelativa, ha tolto l’incarico disponendone il trasferimento, al suo posto a Sassuolo è stato individuato un sostituto in via provvisoria. Sono undici i Comuni che fanno parte della compagnia: oltre Sassuolo, Savignano, Guiglia, Marano, Castelvetro, Castelnuovo, Formigine, Maranello, Fiorano, Prignano e la tenenza di Vignola.

"Sono accuse mosse da un pentito – sottolinea l’avvocato modenese Roberto Ghini – che ripetutamente ha dichiarato di doverla far pagare ai carabinieri e che a distanza di 12 anni dai fatti ha accusato numerosissimi militari senza portare alcun riscontro alle proprie dichiarazioni". In un caso addirittura, prosegue il legale, "estende inspiegabilmente anche al mio assistito un comportamento che fino alle dichiarazioni precedenti aveva attribuito solo a un altro ufficiale". Su sei degli indagati, tra cui lo stesso Meo, pendeva una richiesta d’arresto, respinta però dal gip perché ritiene inattendibile Zuppardo e su cui nelle prossime settimane si esprimerà il tribunale del Riesame di Roma. Secondo quanto riferito da Zuppardo – e attraverso la disamina di testimonianze, intercettazioni e documenti in mano alla procura della città pontina –, il sistema sarebbe andato avanti per undici anni: venivano falsificati i verbali di sequestri di droga pur di ‘premiare’ il confidente per le sue soffiate. Il collaboratore di giustizia nelle sue dichiarazioni fa riferimento tra l’altro al tenore di vita di alcuni dei militari rispetto allo stipendio che percepivano e a un mobiletto dove era custodita la sostanza stupefacente, parte della quale poi finiva nelle sue tasche. "Il mio assistito– commenta l’avvocato Ghini riferendosi al comandante Meo – è un uomo di straordinaria integrità e straordinaria capacità investigativa. Ripongo fiducia nell’Arma che sa giudicare correttamente i propri uomini e nella magistratura che dovrà accertare i fatti".