MARIA SILVIA CABRI
Cronaca

"Nella Tempesta di Shakespeare c’è tutta la storia dell’Occidente"

Alessandro Serra porta in scena l'ultima grande opera di Shakespeare, "La Tempesta", al Teatro Storchi di Modena. Un tributo alla forza insostituibile del teatro, che evoca mondi al confine fra realtà e immaginazione. Un'esperienza sapienziale che insegna come recitare e come mostrare la bellezza e l'orrore.

"Nella Tempesta di Shakespeare c’è tutta la storia dell’Occidente"

‘La tempesta’ insegna che il potere supremo è quello del Teatro. Alessandro Serra, artista poliedrico e visionario, regista, porta in scena l’ultima grande opera di Shakespeare, al teatro Storchi di Modena, fino a domenica. Un tributo all’insostituibile forza del teatro, in grado di visualizzare l’ignoto e di convocare dimensioni metafisiche, evocando mondi al confine fra realtà e immaginazione. Lo spettacolo torna in Italia dopo una lunga tournée internazionale.

Lei e Shakespeare: che rapporto c’è? E’ un suo punto di riferimento?

"Shakespeare è il custode del teatro. Ogni sua opera è un’esperienza sapienziale ma è anche un trantra sulla tecnica e sull’artigianato. È l’unico autore che ha messo per iscritto l’unione mistica tra spiritualità e politica, cioè fra metafisica e umanità. Amleto ci insegna come recitare, come porgere lo specchio agli spettatori, come mostrare la bellezza e l’orrore senza prendere posizioni o accusare nessuno. Shakespeare è la vita fatta teatro. Se volete sapere come si fa il teatro, leggete Shakespeare".

Che ‘Tempesta’ è quella che porta in scena?

"L’isola è un palcoscenico ma è anche l’emblema della terra promessa e desiderata, un luogo i cui abitanti credono di essere arrivati per primi e di avere diritto a sottomettere gli altri. C’è una guerra fratricida senza soluzione se non, dice Shakespeare, la via interiore. La Tempesta presagisce la storia dell’Occidente e nel farlo Shakespeare ci dà una grande lezione: ci dice che la sete di potere deve cedere il passo al perdono e che se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo prima cambiare noi stessi. Prospero rinuncia alla vendetta poiché Ariel gli insegna la compassione e cos impara a perdonare il suo nemico. Il re di Napoli chiede perdono e così finisce la guerra. Forse l’unione dei due giovani è la speranza per il futuro. La speranza è che noi occidentali possiamo un giorno inginocchiarci di fronte al Sud del mondo e chiedere perdono per il male che abbiamo fatto".

Com’è nata la decisione di questo spettacolo?

"Tutto nasce durante il lockdown, Shakespeare, che subì con i suoi compagni una sorte analoga alla nostra, quando Londra fu ammantata dalla peste la compagnia si spostò nelle campagne portando il teatro nei villaggi ancora immuni. Per quanto ci riguarda, nel corso della seconda chiusura abbiamo attraversato un’Italia deserta per raggiungere la Svizzera che allora non era ancora chiusa. La differenza sostanziale è che quando Shakespeare fu costretto a restarsene a casa non si lasciò abbattere e, a quanto pare, scrisse Re Lear. Io mi sono limitato a leggere, studiare e tradurre la tempesta. Lo spettacolo è un omaggio al teatro nella misura in cui lo è anzitutto il testo. Lo spettacolo, al di là dell’aspetto estetico credo sia anzitutto un meccanismo squisitamente teatrale: uno spazio vuoto, e un gruppo di attori che attraverso pochi oggetti riescono a evocare mondi lontani e interiori".

Si rivede in qualcuno dei personaggi?

"Ahimè, in Prospero".