Pesaro, 13 settembre 2024 – Gnaffo. A Pesaro, se lo scrivi con la lettera maiuscola, ha due significati: primo è il nome della merceria più longeva di Pesaro, quella che oggi ha sede in via Barignani 44. Secondo era il soprannome del vecchio Cambrini, fondatore, insieme alla moglie, della merceria di famiglia, quella che 75 anni fa si trovava in via Almerici. E’ con una punta di orgoglio che Gabriella Dolci e Beatrice Del Piccolo, le titolari che nel 2007 hanno spostato la sede della merceria in via Barignani, hanno organizzato, per domenica, una giornata di festa, con laboratori di uncinetto, macramé e lavoro a maglia, dalle 10,30 alle 19,30, volendo omaggiare con l’arte del saper fare il 75esimo anniversario.
“Per i laboratori di domenica – spiegano Dolci e Del Piccolo – non serve avere esperienza, mentre è obbligatorio prenotarsi al 3498797596”. Il costo di ogni workshop è 20 euro. “La fama del negozio non l’abbiamo creata noi, ma è stata coltivata per tutto il dopoguerra dalla famiglia Cambrini. Noi abbiamo continuato a lavorare quel solco aiutate da due commesse straordinarie: Marina Bartolomeoli e Roberta Massanelli”.
I volti delle quattro donne che armeggiano da quasi quattro lustri, tra scaffali con fila di bottoni, nastri, gomitoli di lana, arnesi di ogni sorta, con grande pazienza e spirito d’iniziativa, sono noti persino alle sciure milanesi che, per un motivo o per l’altro hanno conosciuto la merceria Gnaffo visitando Pesaro e non hanno voluto più rinunciarvi. Se pochi sanno che Dolci per fare il lavoro in cui è maestra (ricamare) ha messo nel cassetto una laurea in giurispudenza, molti hanno conosciuto l’abilità del Gnaffo team di usare col cliente un po’ di psicologia. Da dietro quel bancone se ne sono viste di tutti i colori.
“Siamo passate dall’organizzazione assoluta delle grandi sarte pesaresi – osserva sorridente Beatrice – all’approccio imprevedibile dei tempi contemporanei”. C’è chi entra perché deve attaccare un bottone e spera di trovarlo adesivo; oppure lo cerca con meno buchi possibile per semplificarsi la vita. I più disorientati, però sono i clienti uomini. E’ memorabile l’aneddoto del signore che aveva rotto l’elastico delle mutande. Alla domanda della commessa, “come le serve“ ha tagliato corto. “Come questo” e si è tirato giù i pantaloni, mostrando l’elastico delle mutande per essere molto preciso, ma scambiando forse per un ambulatorio medico, il negozio di mercerie. D’altra parte c’è anche chi spende 120 euro per fare scorta di bottoni vintage o gioiello, perché conosce il valore dell’articolo ricercato e spesso introvabile. Se si entra nel laboratorio del ricamo, si resta affascinato. Ci sono opere realizzate da Dolci che sono stati protagonisti di articoli di giornali specialistici. Come il tendone da un metro e mezzo realizzato con la tecnica dello “sfilato del 400“.
Di certo c’è stato un tempo in cui con regolarità svizzera le sarte, entravano in via Barignano con la lista per affrontare la settimana di lavoro. “Servire professioniste come la Scatassa o la Bolognesi – dice Dolci – era difficile, quanto stimolante. Erano signore di assoluta maestria, quanto attente alla qualità dell’ultimo spillo”. Da Gnaffo poi tutte evocano il genio sartoriale dell’istrionico Giuliano Bartolomei, detto Giùbartò. Su tutto questo patrimonio di conoscenza aleggia una speranza: dopo il Covid quest’arte ha ripreso quota. “Ai nostri corsi sono tante le giovani, anche di 20 anni che vogliono imparare”. E’ una pratica antistress adatta ai tempi che corrono.