
Nel 1718 ad Apecchio decidono di far nascere quella dedicata all’Immacolata concezione di Maria Vergine
L’8 dicembre 1724 in seguito all’erezione della nuova confraternita dell’Immacolata Concessione, venne inaugurato, nell’allora pieve di Apecchio (ora Santuario), un altare con un bellissimo quadro di Maria. Dopo trecento anni il cultore di storia locale Edmondo Luchetti ha ritrovato tutta la documentazione con la cronistoria dell’evento.
"Andiamo per ordine e cominciamo dall’inizio – spiega Luchetti – siamo nella prima metà del ‘700, Apecchio è un borgo di poche centinaia d’anime dove il sentimento religioso è molto forte, l’autorità dell’arciprete non è in discussione e tutta la vita sociale è controllata dalla Chiesa anche se ancora vige la Contea sotto il governo feudale dei conti Ubaldini. Il paese è sede di un’importante arcipretura della diocesi di Città di Castello che ha sotto di sé diverse chiese filiali. Nel 1718 l’arciprete don Bernardino Luci assieme ad altri fedeli pensano di istituire una nuova confraternita che andrà ad aggiungersi alle altre già esistenti. Il nuovo sodalizio si chiamerà della “Immacolata Concezione di Maria Vergine“ e nello stesso anno dai nuovi fratelli si fece già la prima festa e si spesero 7 scudi romani".
Qual è la fonte di queste notizie?
"Prima ringrazio l’attuale parroco di Apecchio l’arciprete don Sauro Profiri, il quale volendo riordinare l’archivio parrocchiale, mi ha incaricato della inventariazione e sistemazione del medesimo. Nello svolgere il lavoro ho trovato un libro antico con la copertina in carta pecora dove sono riportate notizie a prima vista trascurabili, ma invece molto interessanti su una parte di storia della pieve di Apecchio. Grazie anche a Cristiana Barni dell’Archivio diocesano di Città di Castello, dove ho reperito altre notizie. Alla nuova confraternita, al momento della sua istituzione, mancava un proprio altare all’interno dell’antica pieve, così il 28 dicembre 1722 si adunò sotto la presidenza dell’arciprete il Capitolo Generale dei confratelli per discutere e venire alla risoluzione per erigere il nuovo altare".
Come andarono le cose?
"Dal dottor Paltoni di Apecchio venne inviata una supplica a monsignor Alessandro Codebò, vescovo di Città di Castello dal 1716 al 1733. Per fare spazio al nuovo altare si sposto il fonte battesimale “giacchè era in detto sito a mano dritta“ e si collocò nella parte opposta, ovvero a sinistra di chi entra, e si spesero 2 scudi e 50 bajocchi. Per fare questa operazione si dovette tamponare l’incavo a forma di abside ricavato nello spessore del muro dove è raffigurato in affresco il battesimo di Gesù, fortunatamente l’opera a suo tempo fu solo nascosta dietro la nuova parete, oggi meritoriamente riportata alla luce. Si iniziarono quindi i lavori per il nuovo altare e furono condotti a termine nel corso del 1723 per la spesa di 51 scudi e 66 bajocchi oltre altri lavori offerti gratis dai fedeli".
Quanti componevano la nuova Confraternita?
"Inizialmente furono 14 laici e 7 preti, i quali si obbligavano a mantenere l’altare di tutte le suppellettili necessarie, acquistarono 4 nuovi candelabri e fecero 4 tovaglie di cui una di pizzo".
Poi cosa accadde?
"Terminati i lavori l’8 dicembre 1724 si celebrò la prima messa nel nuovo altare con la partecipazione dei confratelli in cappa bianca e rocchetto rosso. Con questa veste in seguito saranno accompagnati al cimitero con quattro torce accese anche i confratelli che passeranno a miglior vita e gli si farà a spese della confraternita un uffizio di sette messe di cui una cantata. Al nuovo altare mancava però ancora un importante elemento per completare armonicamente tutto il ricco apparato decorativo, cioè un nuovo quadro. Così l’8 dicembre 1725 si fece il Capitolo Generale per venire alla risoluzione circa il quadro da farsi. Si incaricò allora il conte Giovan Battista Ubaldini di interessarsi e seguire il tutto fino al compimento dell’opera. Il quadro venne commissionato ad Antonio Angelucci di Città di Castello e fu pagato dai fratelli 33 scudi romani. Nel 1726 il quadro è completato e collocato in sede; il 14 luglio per la prima volta fu esposto alla vista e all’adorazione dei fedeli. La sera antecedente fu cantato un solenne vespro in musica e terminato il quale furono accesi all’aperto dei falò. La mattina seguente fu cantata la messa solenne dal canonico Ancillotti di Città di Castello e alla cerimonia oltre al popolo di Apecchio furono presenti ben 35 sacerdoti tra i quali il marchese Prospero Vitelli, canonico della cattedrale tifernate".
Un mondo oggi inimmaginabile.
"Grazie a chi tre secoli fa scrisse queste note oggi tornano alla conoscenza di tutti, ma un triste, tristissimo rammarico però rimane, di tutta questa storia non c’è più nulla. La febbre modernista che è seguita al Concilio Vaticano II ha contagiato la quasi totalità dei preti che con la scusante della riforma liturgica ha cancellato in molte chiese tutto ciò che sapeva di antico e di tradizione sotto gli occhi distratti di vescovi e sovrintendenze. Via gli altari laterali dalle navate, via gli antichi arredi, via gli antichi paramenti, via le talari, via il canto gregoriano, via la messa di San Pio V, via la lingua latina eccetera. Insomma dalle fondamenta è stato scosso un mondo secolare che però non ha portato i frutti che qualcuno si aspettava da questa riforma. Nella sola pieve di Apecchio nel corso dei secoli erano stati eretti ben 9 altari di cui si conoscono le intitolazioni e i patronati, rimaste scritte nelle visite pastorali dei vescovi tifernati a testimonianza di una storia gloriosa, che portò la pieve di Apecchio per dignità e decoro al pari di una collegiata, ben oltre una semplice chiesa parrocchiale. Erano quattro per ogni lato della navata oltre a quello maggiore, ricchi di stucchi, di marmi, di intarsi, di arredi, di quadri. Oggi ne sono rimasti solo tre, i due superstiti nella navata, quello di san Francesco già patronato dei conti Ubaldini e quello di san Benedetto di patronato della famiglia Aloigi di San Sepolcro erano troppo monumentali per essere smantellati e così si salvarono; quello maggiore non è più quello antico ma rifatto in anni recenti con gusto molto discutibile per il contesto in cui si trova".
Amedeo Pisciolini