Una vacanza autarchica per i tornanti del colle: tra azzurri, verdi ed echi letterari di Dante e Tasso

La Panoramica si snoda dolce e accogliente sul San Bartolo, benedetta da secoli di preghiere sussurrate dalle suorine del convento di clausura: verde di mille verdi, offre ad ogni tornante la vista del mare Adriatico, così vasto, azzurro e sontuoso. Salendo ancora lo sguardo può spaziare anche verso l’interno dove un incredibile paesaggio leonardesco azzurro-viola si spalma scollinando, come le pieghe di un sipario teatrale oltre il quale sento Urbino, spazio di magia rinascimentale, e vedo Gradara turrita, dove forse si accese, irresistibile quel bacio, tramandato da Dante, che ancora commuove il mondo. Azzurri e verdi si intercalano, grigi e avana si sovrappongono sotto le nubi ricche di parvenze in un atlante domestico dove riconosco anche da lontano e in controluce villaggi, castelli e campanili: Fiorenzuola di Focara, borgo fra i più belli, Casteldimezzo primo promontorio dopo Venezia e Villa Imperiale, sul colle Accio al limite di un bosco fitto e spumoso rivolto al mare, reggia ducale “di gentilezza e di senno” celebrata dal Tasso, lambita dai venti, protetta dalla vegetazione, consacrata dal trionfo roveresco, mantenuta come gioiello dai Castelbarco-Albani: l’Imperiale, che incorona il San Bartolo, è una pagina di storia che non si può voltare. Nei suoi giardini pensili ancora aleggia la voce di Virginia Vagnoli che canta Monteverdi per duchi e duchesse, corteggiata dall’Agostini che scriverà pensando a lei le “Giornate soriane”: nel bosco fra le rose canine sono rimasti frammenti di sogni d’amore e lo sgambettio del nano di corte che aveva un suo appartamentino su misura nel piano nobile. Ritrovo fra le querce e i noccioli, la villa di Giancarlo Polidori, il gran ceramista dimenticato, la villa del tenore Luciano Pavarotti che amava Soria, l’imponente villa di Giuseppe Ceccolini, l’industriale della birra sontuoso e elegante che i pesaresi chiamavano “il Guercio” per quel suo occhio mancante e Villa Pierangeli nota a tutti i melomani del Rof. E poi ancora mare, che sfuma alla radice del cielo, “l’estroso, stridulo e traditore, il più bel mare del mondo” come diceva Dino Garrone: oggi palpita piano, in silenzio, comunicando immensità, pace, voglia di pensare e d’amare...un trionfo di pini, di querce e di carpini che, odorosi, salutano frusciando fino alla Vallugola, primo porto di Pesaro. Realtà ambientale e percezione visiva si sovrappongono generando un piacere intenso, stupito, da vacanza, appunto. Incontro un cicloamatore che “sculetta” sudando: avverto il suo desiderio di discesa: non so se il ciclista ha guardato tutto quel mare laggiù che canta, né la città di Pesaro che si sta ingrandendo oltre i colli che la contenevano, non so se il battito del suo cuore provato dalla salita, ha sussultato per quel lampo improvviso che si è sprigionato dal cumulo di nubi all’orizzonte: ha solo notato il leprotto che, furtivo, gli ha attraversato la strada, la pedalata è

esigenza primaria. La luce arriva filtrata e sa di madreperla e di salmastro: la sceneggiatura è perfetta, rosmarini, rose canine e ginestre gialle si avvicinano fra loro guardando ammirate i pochi girasoli che si esibiscono alti e alteri in qualche piccola spianata. L’aria ha raggiunto anche gli apici dei miei polmoni e ho percepito che respiravo il mondo: mi fermo un attimo dove settant’anni fa c’era un locale che si chiamava “Paradiso”: un ciuffo di pini, una pista da ballo e l’orchestrina autoctona che suonava “No ti fidar di un bacio a mezzanotte”. E’ lì, che sotto gli occhi di tutta la mia famiglia, ho ballato per la prima volta con Gilberto. Targata “Covid-19”, la vacanza autarchica aprile 2021 è stata una vacanza bellissima, indimenticabile.

Ivana Baldassarri