Zavoli e il suo magico rapporto con Urbino

Il giornalista morto lo scorso agosto era molto legato al magnifico rettore Carlo Bo. Memorabile la sua passeggiata per i vicoli con Fellini

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di Stefano Pivato *

Fino a qualche anno fa all’Università di Urbino facevano sosta personaggi della cultura, capi di Stato e di governo e premi Nobel. In definitiva personalità di primo piano quasi a continuazione di quella vita di corte che nel Rinascimento costituiva una operazione di mutuo scambio e riconoscimento fra istituzioni e luoghi della cultura. Oggi che quella tradizione si è interrotta a ricordarcela è la scomparsa di un personaggio che negli ultimi trenta anni ha costituito una presenza costante nell’ateneo urbinate: Sergio Zavoli.

Il "principe del giornalismo televisivo", che domani avrebbe compiuto 97 anni, aveva un legame tutto speciale con Carlo Bo. È al Magnifico per antonomasia che Sergio Zavoli sottopose per una lettura critica la sua prima raccolta di poesie (Un cauto guardare). Negli anni le visite di Zavoli sarebbero proseguite come in occasione dei Novanta anni di Bo.

Ancor prima il giornalista aveva ricevuto nel 1986 dalle mani del Rettore la laurea ad honorem in Lettere. E a quella cerimonia aveva assistito Federico Fellini accompagnato da Giulietta Masina. Anni dopo Zavoli avrebbe raccontato che la sera, passeggiando per i vicoli di Urbino, Federico Fellini, per nulla amante del rumore, magnificava il silenzio del paesaggio urbinate. Quasi una epitome di quella invocazione che anni più tardi avrebbe messo in bocca ripetutamente a uno dei protagonisti del suo ultimo film, La voce della Luna, invocando ripetutamente la quiete per comprendere il caos del mondo.

Ma il rapporto di Zavoli con Urbino non finisce con la scomparsa di Bo. Nel 2011, in occasione del primo centenario della nascita del Rettore è Zavoli che organizza la cerimonia di celebrazione al Senato alla Presenza di Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e di Renato Schifani, Presidente del Senato.

Tutti ricordano come, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2010-2011, ospite Gerhard Schroeder, ex cancelliere delle Repubblica federale tedesca, Zavoli fece il suo ingresso nell’Aula Magna durante la cerimonia e tutto il pubblico si alzò in piedi per applaudirlo. Una vera e propria ovazione che si ripeté nell’ottobre del 2011, alla cerimonia di intitolazione del Campus scientifico ad Enrico Mattei. Oppure in occasione del conferimento del Premio Frontino nel 2012.

Certo, erano incontri diversi ma tutti improntati a una sua personalissima visione della vita e della professione. Lui, Socialista di dio (così si intitolava una delle sue prime prove letterarie di successo) , non propinava la verità delle beghine ma sosteneva che la regola prima della cultura è quella del dubbio: "credo di non credere" era una frase che ripeteva spesso. E, forse, proprio in questa cultura del dubbio sta uno dei motivi che lo legava a Bo, avversario di ogni dogmatica certezza.

Zavoli confidava fermamente nel primato della cultura. Di qui le sue battaglie contro la sciatteria, contro chi si ostina "a parlare dialetto" (era una frase che ripeteva spesso) in un mondo globalizzato. E contro quelle cadute di stile Zavoli invitava – e l’ha fatto spesso anche a Urbino – a riscoprire il valore civile della indignazione ricordando una frase che Albert Schweitzer gli aveva citato in una delle sue più famose interviste: "Se non diremo cose che a qualcuno dispiaceranno, non diremo mai per intero la verità".

* storico, già magnifico rettoredell’Università di Urbino