
Corte dei Conti. Consulenze extra-lavoro: ex dipendente delle Entrate condannato a risarcire
Ben 2.600 accessi non autorizzati alla banca dati dell’anagrafe tributaria. Ma anche l’affrancatura dell’Agenzia delle Entrate usata per fini personali. E soprattutto consulenze extra-istituzionali fornite senza autorizzazione. In totale quattro procedimenti disciplinari che all’epoca gli erano costati non solo un licenziamento senza preavviso. Ma sui quali era pure intervenuta la Corte dei Conti regionale con una condanna. Ora i giudici erariali della terza sezione d’appello di Roma hanno confermato il danno erariale per le somme legate alle attività extra-istituzionali: circa 15 mila euro. Ma hanno escluso il danno da disservizio, quantificato in primo grado in 2.000 euro, "in assenza di una concreta prova che" il tempo "sottratto alle attività istituzionali", abbia in effetti "comportato un disservizio".
Il protagonista della vicenda è un avvocato ultra-quarantenne attivo al tempo dei fatti contestati per l’ufficio legale della direzione provinciale di Ravenna: l’unico peraltro - si legge nella sentenza - "abilitato a rendere pareri su best practice a livello nazionale, a gestire gli interpelli sulle società di comodo per la direzione regionale, oltre a gestire il contenzioso in primo e secondo grado in aggiunta alle mediazioni e alle conciliazioni". Inoltre, "su incarico dell’Ufficio, scriveva articoli e saggi" in una rivista di settore "per segnalare pronunce favorevoli" alle Entrate.
Insomma un ruolo ritenuto di rango il suo fino: al licenziamento datato luglio 2013. L’assunzione in Agenzia era arrivata grazie a un contratto di formazione e lavoro: poi trasformato nel giugno 2009 a tempo indeterminato. Tre mesi dopo il legale aveva ottenuto l’aspettativa per motivi di studio. Ed è nel periodo successivo - tra il dicembre 2010 e fino al licenziamento - che erano piovuti i quattro procedimenti disciplinari. Gli accessi ritenuti indebiti al sistema informatico delle Entrate, erano stati collocati tra il giugno 2010 e l’ottobre 2012. Risultavano perlopiù visure su persone che abitavano nelle aree di interesse dell’attività professionale dell’avvocato. Le Entrate avevano poi quantificato nei circa 15 mila euro le somme percepite per le attività ritenute extra-istituzionali. Sulla questione, c’era stato pure un passaggio davanti al tribunale civile di Bologna, appello compreso.
E nel 2021 ecco la sentenza di primo grado della Corte dei Conti pure sulla base di quanto emerso nel giudizio civile secondo cui l’avvocato avrebbe in effetti svolto "prestazioni occasionali" retribuite "quale consulente legale in favore di società o aziende agricole anche durante il periodo di aspettativa".
In particolare l’uomo "aveva un sito internet" attraverso cui "pubblicizzava la sua attività quale avvocato". In quanto agli accessi alle banche dati, secondo i giudici "appariva poco credibile" il fatto che "si sarebbe trattato di ordinarie verifiche collegate alle attività di ufficio". Tali accessi, "estranei ai compiti istituzionali", almeno in primo grado erano stati ritenuti idonei a determinare "un rallentamento del normale svolgimento del lavoro". Una parte, quest’ultima, per la quale il collegio romano, presieduto dal giudice Giuseppina Maio, ha accolto i motivi portati in appello dall’ex dipendente delle Entrate. Per il resto, è stata confermata la sentenza uscita a suo tempo dalla penna dei magistrati bolognesi.
Andrea Colombari