La Cassazione conferma: carcere a vita

Definitivo l’ergastolo per Matteo Cagnoni, il medico nelle prossime ore deve lasciare Ravenna per un penitenziario a stretta sorveglianza

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La difesa, ancorché coraggiosa, dell’avvocato Gabriele Bordoni, non ha dato i frutti sperati. Niente perizia psichiatrica per Matteo Cagnoni, conferma della condanna di ergastolo già scolpita dai processi di primo grado e appello per avere ucciso la moglie, la mattina del 16 settembre 2016, dopo averla attirata nella lugubre villa di via Padre Genocchi col pretesto di farle fotografare quadri da vendere. Fine dei giochi. I giudici della Corte di Cassazione sono usciti alle 19.30 di ieri con questa decisione, carcere a vita per Matteo Cagnoni. L’imputato 55enne, nel suo stato di ’black out di segmento’ – cioè non ricorda se sia stato lui, ma neppure il contrario – ha atteso l’esito nella cella del carcere di Ravenna. Qui era tornato, tra l’indignazione delle associazioni femminili, dopo un periodo alla Dozza di Bologna. Ma già nelle prossime ore, è probabile, ne verrà disposto il trasferimento in un cercare idoneo a ospitare detenuti con condanne definitive per fatti di sangue. Intanto da stanotte è un sorvegliato speciale, il rischio di gesti estremi dopo condanne che cancellano un futuro da uomo libero è sempre dietro l’angolo. All’imputato non è bastato risarcire in extremis la famiglia della moglie e i figli. La conferma dell’ergastolo, con motivazioni ancora da scrivere, presuppone che gli ’ermellini’ abbiano accolto almeno una o entrambe le aggravanti, premeditazione e crudeltà, come requisito del carcere a vita.

Con l’avvocato Bordoni, a sostenere la difesa, un po’ a sorpresa era presente l’avvocato barese Pier Francesco Zecca, noto soprattutto come docente di diritto del lavoro. Nella sua arringa Bordoni, come annunciato, non ha affrontato l’argomento responsabilità.

Che sia stato Cagnoni a uccidere la moglie, lo si dà per accertato da ben due sentenze. Chiedeva però una perizia psichiatrica, da disporre nel contesto di un nuovo processo di Corte d’Appello, ritenendo che il disturbo narcisistico accertato dai propri consulenti, ma anche dai giudici precedenti, potesse aver determinato, quel triste e tragico venerdì mattina, un vizio parziale di mente che avrebbe reso Cagnoni parzialmente incapace di intendere e volere. Non essendo i giudici esperti di psichiatria, chiedeva che specialisti potessero accertare tutto ciò, per scongiurare ogni ragionevole dubbio al riguardo, prima di decretare in via definitiva il carcere a vita. Una strategia che non aveva pagato neppure al processo di appello. E tardiva, a conti fatti, dopo che in primo grado Cagnoni aveva giurato e spergiurato la propria innocenza, affidando al precedente legale, Giovanni Trombini, suo amico personale, una strategia rivelatasi fallimentare, consistita nell’attribuire la responsabilità del terribile delitto a uno o più fantomatici ladri acrobati, divenuti assassini dopo avere scalato a mani nude un muro alto nove metri, intrufolandosi dall’unica finestra trovata parzialmente aperta. E, uscendo, ricordandosi di reinserire un allarme di cui non avevano codici.

Il processo di primo grado, seguito da decine di ravennati, aveva registrato anche momenti di tensione tra l’imputato, sempre presente, e la famiglia dell’ex moglie, in particolare col fratello di Giulia, Guido Ballestri. A comparire, nella veste di testimone, era stato anche quello che da un anno era il nuovo compagno della donna, Stefano Bezzi. Cagnoni, da tempo sospettoso, nel marzo 2016 aveva svenduto e regalato l’intero patrimonio immobiliare al fratello Stefano, che vive a Parma. Scoperto il tradimento, in agosto, aveva affrontato il rivale nel piazzale di Marina Romea, prendendolo a schiaffi. Per quell’episodio il processo si chiuderà a breve. Briciole, a confronto del macigno posto ieri dai giudici del Palazzaccio.

Lorenzo Priviato