Federica, la sua compagna, in quel periodo vedeva in lei un’altra persona, ansiosa e prostrata: "Pensavo potesse farsi del male". Sia prima che Sara fosse licenziata, quando si era ammalata di stress da lavoro, sia dopo, quando un lavoro neppure lo cercava più perché solo l’angoscia di avere altri superiori del genere la atterriva. Sara Silvestrini, dopo la lettura della sentenza, appare sollevata e ripagata di tante sofferenze. Eppure, la sua battaglia ancora non è finita: "Lavoravo alla Lidl da dieci anni – racconta – e fui licenziata nel luglio 2015, per giusta causa: ciò vuol dire che il dipendente ha fatto qualcosa di grave, loro mi contestavano di avere perso la fiducia in ragione della mia negligenza". Ora, che ritiene di aver dimostrato che i motivi veri erano più sottili, attraverso il Centro per l’impiego cercherà di rimuovere quel ’licenziata per giusta causa’ dal libretto, che nel mondo del lavoro è un marchio di infamia. "Col mio capo – spiega – ho sempre avuto un rapporto difficile, che peggiorò nel 2013 quando arrivò un nuovo capo magazzino, uno degli imputati, che ne assecondava i comportamenti. Da quel momento ricevevo una lettera di richiamo dietro l’altra. Io avevo sempre cercato di non commettere errori, restare lucida e non reagire, anche se le provocazioni erano tante". A fine 2014 lo stress da lavoro la costrinse a 54 giorni a casa. Raccolse le forze, con l’aiuto dei farmaci tornò nel magazzino del supermercato, ma di lì a poco arrivò il benservito.
"È molto dura quando un singolo si trova davanti a una società così potente. Quando impugnai il licenziamento, in cambio di 15mila euro cercarono di farmi firmare una liberatoria tombale, col tramite del sindacato, che liberava tutti da pretese e accuse. Capisco la Lidl, ma il sindacato... Così lasciai la Cgil, cambiai avvocato e con Stefania Gaudenzi ottenni 28mila euro e la parte penale è andata avanti con l’avvocato Alfonso Gaudenzi. Conosco tanti colleghi che hanno firmato per un tozzo di pane. Ma il mio consiglio è di restare lucidi".
l. p.