Aemilia, chiesti 25 e 17 anni per Blasco ed Eugenio Sergio

Possibile riformulazione della pena per continuazione Le difese: "I collaboratori non sono attendibili"

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Le posizioni di due imputati di un certo rilievo all’interno del processo di ‘ndrangheta ‘Aemilia’ sono state discusse ieri nel corso dell’udienza in Appello a Bologna. Uno è Gaetano Blasco, condannato in primo grado a 21 anni con il rito ordinario e a 17 anni e quattro mesi con il rito abbreviato. Una pena che ieri il sostituto procuratore generale Luciana Cicerchia, ha chiesto di riformulare in venticinque anni e sei mesi per la continuazione delle sentenze. Piuttosto lungo l’elenco delle accuse: oltre all’associazione di stampo mafioso, gli sono contestati diversi reati-fine (19 capi di imputazione). Blasco è difeso dagli avvocati Marilena Facente e Filippo Giunchedi, che hanno chiesto l’assoluzione. Facente si è soffermata soprattutto sulle contestate estorsioni e sulle intercettazioni telefoniche, tentando di smontare l’accusa. Per Giunchedi "le intimidazioni non sono state provate e i collaboratori di giustizia hanno reso dichiarazioni discordanti, vaghe e incongruenti, ad esempio nel descrivere la sua affiliazione al clan, tanto da non supportare neppure la gravità indiziaria".

Davanti alla Corte è sfilata anche la posizione di Eugenio Sergio, parente di Maria Sergio, moglie del sindaco Luca Vecchi: l’imputato era stato condannato in primo grado a nove anni in ordinario e a quattordici in abbreviato, pena che Cicerchia ha chiesto di riformulare in diciassette anni e sei mesi sempre per la continuazione tra le due sentenze. L’avvocato difensore Giuseppe Migale Ranieri (foto) ha rimarcato "l’assoluta inattendibilità dei collaboratori di giustizia" per quanto da loro riferito sul reato associativo contestato a Sergio. Sull’usura il legale ha sottolineato che "la perizia dice che non ci fu e si rifà a quanto stabilì anche il tribunale del Riesame nel 2015", mentre sull’estorsione "manca la minaccia, non emerge l’ingiusto profitto e oltretutto Sergio non parlò mai con le presunte vittime del reato".

Alessandra Codeluppi