
Il difensore di tre imputati, De Belvis: "Al detenuto, che si era mostrato aggressivo, fu messo il cappuccio per paura che in bocca nascondesse una lametta. Non vi fu volontà di umiliarlo".
Si sono concluse le arringhe delle difese nell’udienza preliminare che vede dieci agenti imputati con rito abbreviato a vario titolo per tortura e lesioni verso un detenuto tunisino 44enne, oltre a falso nelle relazioni stilate sull’episodio datato 3 aprile 2023 e avvenuto nel carcere della Pulce.
Il 17 febbraio sono previste le repliche e la sentenza. Davanti al gup Silvia Guareschi, ieri ha preso la parola l’avvocato Federico De Belvis, che assiste tre persone: un 46enne viceispettore che deve rispondere dei tre reati e per il quale il pubblico ministero Maria Rita Pantani ha chiesto la pena più alta tra tutti (5 anni e 8 mesi), oltre a un 51enne e un 30enne. Secondo la ricostruzione investigativa, basata sulle telecamere interne, il detenuto, ora costituito parte civile attraverso l’avvocato Luca Sebastiani, fu incappucciato, fatto cadere a terra, preso a calci e pugni, denudato e portato in cella di isolamento dopo essere stato sanzionato per violazioni del regolamento carcerario.
Per le difese, si trattava però di un uomo che si sarebbe dimostrato aggressivo e a cui sarebbero state trovate lamette. Ieri l’avvocato De Belvis (foto) ha chiesto l’assoluzione dalla tortura "perché il fatto non costituisce reato", sostenendo che non vi sia prova della volontà degli agenti di sottoporre il detenuto a sofferenze fisiche per degradarlo e disumanizzarlo. Si è inoltre soffermato sul fatto svelato nell’aprile 2024 dal Carlino, cioè un caso-gemello avvenuto nel 2021 e che riguarda un altro detenuto tunisino che sarebbe stato incappucciato a Reggio e poi trasferito a Piacenza, fatto su cui il pm Pantani ha depositato documentazione. L’uomo fu accolto a Piacenza dagli agenti penitenziari che fecero foto alle sue ferite e lo mandarono all’ospedale. Dal carcere partì una denuncia a cui si aggiunse quella del detenuto per lesioni. Fu aperto un fascicolo d’indagine rimasto al momento contro ignoti perché, a differenza del caso reggiano, non vi erano filmati disponibili e lui non era riuscito a identificare gli agenti. Ma dalla lettura dei documenti emerge che almeno uno degli imputati della vicenda alla Pulce datata 2023 sarebbe stato coinvolto anche nel caso piacentino, tra cui il viceispettore 46enne (a oggi mai raggiunto da informazione di garanzia). Per De Belvis, dai documenti si evince che il detenuto al centro dell’episodio di Piacenza subito dopo l’incappucciamento estrasse dalla bocca una lametta e ne consegnò un’altra alla penitenziaria. "Ciò significa - ha argomentato l’avvocato De Belvis - che l’uso del cappuccio non voleva comportare un’afflizione fisica per umiliarlo, ma rappresentava invece il ricorso a un oggetto non convenzionale per impedirgli di usare le lamette". In quest’ottica, per la difesa anche il denudamento avvenuto a Reggio "era solo funzionale alla perquizione, dato che non si può condurre in isolamento un detenuto armato". Alessandra Codeluppi