Rimini, insulti via sms alla caposala. Infermiere sospese

Avevano parlato male della caposala su una chat: scoperte da un collega spione

Infermiere al lavoro (foto di repertorio)

Infermiere al lavoro (foto di repertorio)

Rimini, 1 giugno 2019 - Parlare male del capo antipatico era una delle poche soddisfazioni che restavano ai sottoposti vessati. Si poteva farlo a quattr’occhi senza correre rischi, ma nell’era di internet non è più possibile. Perchè può accadere, come in questo caso, che il collega spione e crumiro ti rubi il messaggio su WhatsApp e lo giri al capo.

Risultato: due infermiere di una clinica del Riminese sono state sospese dall’azienda per avere maltrattato la caposala sulla chat. Loro non ci stanno e si rifiutano di subire la punizione. Quanto allo spione in questione, è finito molto peggio dal momento che è sotto inchiesta della Dda. Infilare il naso nella privacy altrui è infatti un reato da Distrettuale antimafia. «Io non ho nessuna intenzione di assogettarmi alla sospensione – dice una delle due infermiere, rappresentata dall’avvocato Piero Venturi – è un’ingiustizia. Ho parlato in privato con una collega fuori dall’orario di lavoro e ci è stata rubata la conversazione».

I fatti risalgono al 2017, quando le due colleghe nel mirino si scambiano appunto una serie di messaggini audio sulla direttrice del reparto con cui non hanno rapporti idilliaci. Parlano scherzando di darle la «mazzata finale» creando una «bambola» (wodoo) e via così. Il fatto però che appena arrivano al lavoro, i dipendenti della clinica sono costretti a riporre il cellulare in una stanza accessibile a tutti. E ben presto si accorgono che qualcuno ha copiato quei messaggi e li ha mostrati all’oggetto delle loro frecciate.

La caposala monta un pandemonio e le due vengono sospese per dieci giorni. A quel punto le infermiere passano al contrattacco e vanno a denunciare tutto in Procura. Le indagini portano dritte a un altro infermiere della struttura, ma lui nega a oltranza sostenendo che non è lui il ladro, ma soltanto uno dei destinatari di quei messaggi che gli sono arrivati non sa da chi. La Dda chiede così l’archiviazione per l’indagato, ma gli avvocati delle due infermiere hanno già presentato opposizione. «Il fatto ancora più grave – commenta l’avvocato Venturi – è che la clinica non abbia collaborato in alcun modo».