Emilia Romagna sempre più Dop Nelle Marche cresce ancora il bio

Tra Piacenza e Rimini le uve per vini a Denominazione d’origine e Indicazione geografica sono il 63%. Il vigneto marchigiano si conferma green, con oltre 6mila ettari a biologico e 163mila ettolitri prodotti

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di Lorenzo Frassoldati

Emilia Romagna sempre più Dop per i vini prodotti, e Marche sempre più bio. Tra Piacenza e Rimini la vendemmia 2021 ha visto crescere le uve rivendicate per produrre vini a Denominazione d’origine e Indicazione geografica, che hanno rappresentato il 63% delle uve raccolte. Le superfici a vite continuano ad aumentare. Al 31 luglio 2021 erano oltre 52 mila ettari: +400 ettari rispetto all’anno precedente, dati che collocano la regione al quinto posto in Italia per superficie vitata e al terzo per quantità di uva prodotta.

La maggioranza dei vigneti è nel Ravennate, nel Modenese e nel Reggiano. Il volume d’affare generato dalle 30 denominazioni d’origine vinicole dell’Emilia-Romagna è di 486 milioni (Rapporto ISMEAQualivita 2021), un valore tra le prime regioni italiane. Il dato complessivo della produzione lorda vendibile si attesta a 323 milioni di euro, oltre il 7% del fatturato agricolo regionale, collocandosi come sesto miglior settore a livello regionale (dopo latte, frutta, patata e ortaggi, cereali e carni suine).

Le uve più coltivate sono Trebbiano romagnolo, Ancelotta e Pignoletto. In un paio d’anni le superfici vitate bio in regione sono cresciute di mille ettari. In Emilia Romagna si concentra circa il 16% (8 milioni di ettolitri) della produzione vitivinicola nazionale.

L’incidenza dei vini DOP (circa il 50%) si attesta sotto la media nazionale (69%) e resta ancora alta la quota dei vini generici, dice uno studio Nomisma per Unicredit. L’Emilia Romagna, inoltre, esprime il quinto vigneto a livello nazionale per estensione dedicata al biologico (oltre 5.500 ettari), con una percentuale del bio rispetto alla superficie viticola regionale del 10,6%, mentre la media nazionale è del 17%.

Nel trainare la crescita del comparto regionale sono le esportazioni: +41,9% nell’ultimo quinquennio, ben sopra al 26,5% della media nazionale.

Nel vigneto marchigiano il bio raggiunge percentuali elevatissime, quasi il 36%. Oltre 6mila gli ettari dedicati, con 132 cantine che nella campagna 202021 hanno prodotto quasi 163mila ettolitri di vino bio per un potenziale di oltre 21 milioni di bottiglie da 0,75l: il vigneto marchigiano è sempre più green.

Secondo l’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) le Marche sono uno dei principali hub sostenibili in Italia, con un’incidenza sul vigneto che raggiunge una percentuale altissima (35,6%), seconda solo alla Calabria (39%) e che di fatto doppia anche la media nazionale. Una propensione verde registrata anche dalla recente costituzione del distretto biologico unico della Regione che punta a sviluppare la più grande area europea attenta allo sviluppo di una pratica sostenibile e alla salute dei consumatori.

Ad oggi sono oltre 2.200 aziende che hanno aderito al distretto, per una superficie agricola utile (SAU) di circa 79mila ettari già coltivata a biologico e di circa 19mila in conversione. Tra gli obiettivi, incrementare la SAU bio, potenziare ricerca, sperimentazione e formazione nel settore per migliorare qualità e produttività delle coltivazioni, oltre a favorire e consolidare le filiere del biologico di prodotto e di territorio.

"La sostenibilità e l’attenzione nei confronti dell’ambiente sono un asset consolidato del Made in Marche – spiega Alberto Mazzoni, direttore IMT –. Un trend che non accenna ad arrestarsi, come dimostra il nostro vigneto biologico che in dieci anni ha praticamente raddoppiato la propria superficie. Tuttavia, ad oggi i consorzi italiani non sono ancora in grado di monitorare questo modello produttivo: non esiste infatti una banca dati del settore che ci permetta di osservare il fenomeno nei suoi aspetti fondamentali, dalla produzione alla vendita. La strada da percorrere è ancora lunga, soprattutto per migliorare la reddittività delle aziende che in questo momento non riescono ancora a monetizzare al meglio le proprie produzioni biologiche".