
Crisi climatiche, crisi panddemiche, crisi economiche, crisi energetiche, crisi globali: ma il settore resiste
Baroncini
Crisi economiche: fatte. Crisi pandemiche: fatte. Crisi climatiche: fatte. Crisi alluvionali: fatte. Crisi mondiali: fatte. Crisi politico-istituzionali: fatte. Crisi europee: fatte. Dal 2008 a oggi il pianeta batte contro se stesso e l’agroalimentare, non a caso pilastro del nostro vivere e della nostra economia, affronta problemi esponenziali. Eppure le imprese crescono più di quanto non riescano a garantire gli Stati, e le persone fanno la differenza. Con metodo, idee, soluzioni originali.
L’area che si estende fra Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Toscana non è solo l’orto d’Italia. E’ la locomotiva d’Italia. Eppure è minacciata da notevoli insidie: pensate al meccanico e alla motor valley, con le incognite della transizione verso l’elettrico; oppure al distretto del packaging, con le normative europee sulla plastica; e ancora al ceramico, così energivoro; o al biomedicale, che rischia di capitolare sotto i colpi del payback sanitario, dunque norme che nulla hanno a che vedere con Bruxelles. E, infine, pensate a come cambieranno gli equilibri mondiali con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, in particolare sul delicato e minato fronte dei dazi.
Ho avuto la fortuna di colloquiare di recente con Lucio Poma, capo economista di Nomisma, il think tank bolognese. In sintesi: le sfide geopolitiche sembrano aver risvegliato nelle coscienze degli attori globali il concetto di confine. Nonostante guerre di dazi e parziali ritorni al protezionismo (e ora che è rientrato Trump?), non si può ancora parlare di de-globalizzazione. Si nota tuttavia come la frammentazione del sistema globale, unita all’incertezza dello scenario geopolitico, che spesso arriva ad influenzare i mercati, spinga le imprese al de-risking, che si traduce tipicamente in attività di re-shoring o near-shoring. La riorganizzazione delle catene produttive internazionali e delle catene globali del valore comporta, almeno nel breve periodo, dei costi elevati.
Dunque confini, possibili nuovi dazi, costi elevati. Ergo? "L’economia ormai è globale, ma manca il governo globale per questa economia – ha detto al Carlino il professor Poma –. Questo è un problema enorme. Ora le filiere e le aziende non si chiedono più che strada intraprendere per arrivare al traguardo, ma si domandano dove devono andare".
La domanda insomma non è più "come" andare, ma "dove" andare. Lo stesso ragionamento vale per l’agricoltura, il meccanico agricolo, l’agroalimentare e il food & beverage. Dove andare?
Con questo inserto speriamo di darvi qualche risposta, senza alcuna superbia. Ma speriamo soprattutto di aiutarvi a fare le domande giuste, le stesse che abbiamo posto ai protagonisti del settore. Le guerre commerciali avvengono tra Stati che ‘combattono’ ad esempio mettendo dazi o disincentivando determinate importazioni, come fece ad esempio Trump, e come si fa spesso con i prodotti cinesi in Europa e quelli europei in Cina. Ma qui siamo ancora nell’ambito dei meccanismi classici delle barriere all’ingresso o del contingentamento, siamo al braccio di ferro politico. Il vero incubo, anzi il vero rischio, molto diverso e inusuale, è andare a colpire le singole aziende.
E’ qui che bisogna fare riferimento alla politica e, dunque, impatteranno sia il governo Meloni sia le nuove amministrazioni regionali, a cominciare da quella che verrà guidata dal governatore Michele de Pascale in Emilia-Romagna. Si tratta di scenari che abbiamo già visto e che sono dunque ripetibili. Quello che non abbiamo visto è una azione decisa (e decisiva) di chi ci amministra. Per una volta nel segno dell’unità, dell’interesse nazionale, non delle divisioni politiche e dei bias cognitivi. Vedremo.